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24 Aprile 2025 - 19:31
Non è una favola, è una ferita aperta nella montagna. La frana caduta sulla provinciale 73 sopra Borgofranco d’Ivrea, in località Biò, ha isolato Andrate e Nomaglio. Rocce, fango, alberi trascinati giù dal maltempo hanno sbarrato ogni via di accesso. Per salire o scendere, serve un giro tortuoso da Settimo Vittone, su una strada stretta, insicura, incapace di reggere il traffico di un’intera area. La montagna, ancora una volta, si è ripresa ciò che l’uomo le aveva strappato. Ma chi vive lì non può far altro che aspettare. E sopravvivere.
Martedì, a Nomaglio, Marina Allamanno, 51 anni, si è accasciata a terra colpita da un infarto. I familiari hanno chiamato il 118. Ma la strada era sbarrata. L’unica possibilità era l’elisoccorso, che si è alzato in volo da Torino. Troppo tardi. Marina è morta. “Una tragedia evitabile”, mormorano in paese. Il dolore si mischia alla rabbia. Perché in montagna il tempo non è solo una questione di minuti. È la differenza tra la vita e la morte.
E mentre i sindaci di Andrate ed Ellade, Enrico Bovo ed Ellade Peller, scrivono al Prefetto, al presidente Cirio, al sindaco Lo Russo e all’Uncem, chiedendo con urgenza il ripristino delle strade 73 e 221, i cittadini si arrangiano. Il Comune di Ivrea con il sindaco Matteo Chiantore, quello di Borgofranco con Fausto Francisca, e persino il consigliere regionale Alberto Avetta sono accanto a loro. Ma le parole, da sole, non spostano i massi.
“Chiediamo che si convochi subito un tavolo di crisi. Serve un intervento oggi, non domani”, dice Chiantore. Perché la SP72, l’unica alternativa, è un labirinto fatto di tornanti e incroci impossibili. Due mezzi non ci passano, le ambulanze arrancano, e ogni allerta meteo rischia di riscrivere la geografia del disastro.
Chi ne paga il prezzo più alto sono le famiglie. Una storia su tutte racconta l’ostinazione, il senso di dignità, e l’assurdo a cui ormai ci si è abituati. Ogni mattina, alle prime luci dell’alba, un padre accompagna a piedi il figlio di otto anni attraverso la frana. Partono dalla loro casa, sopra la frazione Biò, zaino in spalla e stivali ai piedi. Camminano fino ai blocchi di cemento che sbarrano la strada, li scavalcano, attraversano un tratto franoso pieno di fango e sassi, per raggiungere il pulmino scolastico. Solo così il bambino può andare a scuola.
“Viviamo come nel dopoguerra. Organizzo ogni spostamento come se fosse un viaggio. Non posso fare altrimenti”, racconta l’uomo. Da mesi le frane si susseguono. La prima, nel 2024, aveva già spezzato l’unico collegamento. Dopo mesi di attesa, la strada era stata riaperta a senso alternato. Ma il crollo del 5 marzo ha isolato la parte alta. E poi la terza frana, quella di aprile, ha affossato ogni speranza. “Era tutto pronto per montare le reti di contenimento, poi la pioggia ha distrutto tutto. E siamo punto e a capo.”
La voce dell’uomo è carica di fatica. “Siamo rimasti solo in dieci qui sopra. Io sono l’unico sotto i cinquant’anni. Tutti gli altri se ne sono andati. Ma io resisto. Pulisco i terrazzamenti, taglio le piante. E ogni mattina accompagno mio figlio. Perché l’istruzione non si ferma. E nemmeno l’amore per questa terra.”
Lui, da settimane, si prende la responsabilità di attraversare la frana. Inizialmente erano barriere di plastica, poi cemento. Vietato passare. Ma a piedi, con il cuore in gola, continua a farlo. “Se non lo faccio io, chi porta mio figlio allo scuolabus?”
La politica si è mossa. Il Movimento 5 Stelle ha presentato un’interrogazione a Palazzo Lascaris, chiedendo interventi urgenti. I consiglieri Alberto Unia e Sarah Disabato parlano di una situazione “insostenibile” e denunciano l’immobilismo istituzionale. Ma intanto la realtà resta quella di una donna morta per un infarto, di un bimbo che attraversa la frana ogni giorno, di paesi dimenticati.
La montagna non aspetta. E la frana non fa sconti. Ora serve agire. Prima che l’elenco delle vittime si allunghi. Prima che il prezzo dell’abbandono diventi troppo alto anche per chi, come quel padre, ogni giorno sfida la terra, la pioggia e la paura per non rinunciare alla normalità.
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