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Giudiziaria
03 Febbraio 2025 - 18:36
Roberto Rosso
La giustizia italiana riserva sempre sorprese e questa volta il protagonista è Roberto Rosso, ex assessore regionale piemontese per Fratelli d’Italia ed ex parlamentare di Forza Italia. La Corte di Cassazione ha annullato la sua condanna a quattro anni e quattro mesi per voto di scambio politico-mafioso, disponendo un nuovo processo d’appello. Un verdetto che rimescola le carte di una vicenda giudiziaria intricata, emersa nell’ambito del maxiprocesso Fenice-Carminius sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Torinese.
L’ex assessore era stato arrestato il 20 dicembre 2019 dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza con l’accusa di aver pagato 7.900 euro a due esponenti della criminalità organizzata, Onofrio Garcea e Francesco Viterbo, in cambio di un pacchetto di voti per le elezioni regionali del 2019. Una ricostruzione su cui la Procura non ha mai avuto dubbi, sostenendo che Rosso fosse pienamente consapevole della natura dei suoi interlocutori. Tuttavia, il verdetto della Cassazione sembra suggerire che il quadro probatorio necessiti di una revisione, almeno per quanto riguarda la consapevolezza dell’ex assessore sulle reali identità dei suoi referenti politici.
Se per Rosso si apre un nuovo capitolo giudiziario, la Cassazione ha invece chiuso definitivamente il caso per Mario Burlò, imprenditore dell’outsourcing, e Ivan Corvino, agente immobiliare di Nichelino, annullando senza rinvio le loro condanne. In pratica, una piena assoluzione per entrambi. Un esito che Burlò ha commentato con parole di sollievo: «Questi anni di sofferenza non me li restituirà nessuno, ma oggi ricomincia la mia vita».
Nel corso del procedimento, Rosso ha sempre sostenuto di non aver mai stretto accordi con la mafia, parlando di un'ingenuità politica piuttosto che di un vero e proprio reato. «Posso essere stato superficiale e imprudente, ma non ho mai comprato voti dalla ‘ndrangheta», ha dichiarato in più occasioni. Secondo la sua versione, il denaro sarebbe stato consegnato a una persona di fiducia, un ex carabiniere legato ai servizi segreti, affinché lo utilizzasse come meglio riteneva. «Da anni mi aiutavano nelle campagne elettorali, non potevo immaginare chi fossero veramente», ha aggiunto.
Un racconto che non aveva convinto la Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, secondo cui Rosso era perfettamente consapevole della provenienza del sostegno elettorale ricevuto. Del resto, i due intermediari della transazione, Garcea e Viterbo, sono stati condannati in via definitiva per voto di scambio politico-mafioso.
L’arresto di Roberto Rosso ha rappresentato un duro colpo per Fratelli d’Italia, che lo aveva immediatamente espulso per prendere le distanze dalla vicenda. Un tracollo fulmineo per un politico di lungo corso, passato dalle fila di Forza Italia all’UDC, fino alla destra meloniana.
L’ennesima dimostrazione di quanto sia profondo il radicamento della criminalità organizzata anche nelle dinamiche politiche del Nord Italia, con la ‘ndrangheta sempre più capace di infiltrarsi nei processi elettorali e nelle istituzioni locali.
Ora, con l'annullamento della condanna e il rinvio in Appello, Rosso ha ottenuto un’occasione per ribaltare la sua sorte. Resta da vedere se il nuovo processo confermerà le accuse o se la sua difesa riuscirà a dimostrare che si è trattato solo di una colossale imprudenza. In ogni caso, l’ombra della ‘ndrangheta sul Piemonte non sembra destinata a diradarsi tanto presto.
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