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Cronaca
29 Gennaio 2025 - 23:37
Un continuo, asfissiante controllo del territorio con una forte capacità di condizionamento delle elezioni comunali e delle successive attività dell'Ente. Ma non solo, anche la capacità di ramificarsi in regioni del centronord e all'estero e di rifornirsi di armi, anche da guerra, dai Balcani. Tutto questo è la cosca Gallace, radicata a Badolato e nel basso Jonio Catanzarese, nella ricostruzione fatta dai magistrati della Dda di Catanzaro e dai carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e del Ros, che stamani hanno inferto un duro colpo alla consorteria, eseguendo - tra Calabria, Lombardia, Lazio e Piemonte - 44 ordinanze di custodia cautelare, 15 in carcere e 29 ai domiciliari, nei confronti di presunti boss, affiliati e fiancheggiatori.

Nelle maglie della giustizia, sono finiti anche il sindaco di Badolato Nicola Parretta, il vicesindaco Ernesto Maria Menniti, il presidente del consiglio comunale Maicol Paparo e gli assessori Antonella Giannini e Andrea Bressi, tutti posti ai domiciliari. Agli arrestati vengono contestati, a vario titolo, una sfilza di reati: associazione mafiosa, procurata inosservanza di pena, furto, estorsione, minaccia, traffico, anche internazionale, di armi, tutti aggravati dalle finalità mafiose, nonché scambio elettorale politico mafioso e coltivazione e detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.
Nel corso delle indagini sono stati rintracciati e arrestati anche tre latitanti, tra i quali Cosimo Damiano Gallace, 64enne ritenuto al vertice della locale, bloccato il 7 ottobre 2021 in un bunker realizzato all'interno di un impianto di calcestruzzo a Isca sullo Ionio (Catanzaro).
Grazie alle complesse analisi delle chat nei criptofonini in uso agli affiliati, sarebbe anche emerso il ruolo di una famiglia di imprenditori edili di Badolato, che non solo avrebbero gestito la latitanza del boss, garantendo vitto e alloggio in bunker realizzati ad hoc e dotati di videosorveglianza e i vari spostamenti, ma si sarebbe poi inserita nelle attività dell'amministrazione comunale dopo l'elezione del 2021, avvenuta, secondo l'accusa, grazie ad uno scambio elettorale politico-mafioso.
Oltre ai reati "classici", per i quali gli affiliati al clan non risparmiavano "intimidazioni brutali" nei confronti di vittime di estorsioni, gli investigatori dell'Arma hanno anche portato alla luce l'intestazione fittizia delle aziende dei fiancheggiatori e le cointeressenze della locale nei loro affari e l'interesse della cosca alla realizzazione di un metanodotto nel foggiano.
Per tale motivo, contestualmente agli arresti, i carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e del Ros hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo d'urgenza delle quote e dei beni mobili e immobili, tra cui 2 cave, di 2 società di calcestruzzi e trasporto inerti, riconducibili alla famiglia di imprenditori.
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