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Giudiziaria

Condanne, assoluzioni e la ‘ndrangheta che cresce in Valle d’Aosta

L'appello-bis chiude il processo con tre condanne e un’assoluzione. Mentre le difese si preparano al ricorso, Libera lancia l'allarme: "Occorrono anticorpi contro una realtà ormai radicata anche nel Nord

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Il 30 settembre 2024 è una data che lascerà un segno nel lungo iter giudiziario legato all’inchiesta Geenna, nata per indagare sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Valle d'Aosta. Con la sentenza dell'appello-bis emessa dalla terza sezione penale della Corte d’appello di Torino, si chiude, almeno per ora, un capitolo di questa complessa vicenda giudiziaria, ma resta aperto un dibattito acceso, sia nelle aule dei tribunali che nella società civile.

Iniziato in seguito alla decisione della Corte di Cassazione che, nel gennaio 2023, aveva disposto l’annullamento con rinvio delle condanne inflitte in secondo grado, il processo d’appello-bis ha confermato tre delle quattro condanne, con lievi riduzioni di pena, mentre ha assolto un’imputata, l’ex assessora comunale di Saint-Pierre, Monica Carcea, per la quale è stato sancito che “il fatto non sussiste”. Questa assoluzione rappresenta un colpo di scena, soprattutto alla luce della richiesta della procura generale di Torino, che aveva chiesto la conferma dei sette anni di reclusione inflitti nel primo processo d'appello.

Le pene ridotte per i tre imputati condannati – il ristoratore aostano Antonio Raso e l’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, insieme ad Alessandro Giachino – sono state accolte con perplessità da molti osservatori. Per Raso la pena è stata rideterminata in otto anni di reclusione, mentre per Prettico e Giachino è stata fissata a sei anni e otto mesi, rispetto alla richiesta iniziale di otto anni per ciascuno. La concessione delle circostanze attenuanti generiche e la riqualificazione di alcuni capi d'accusa sono alla base di queste riduzioni. Tuttavia, la sentenza non ha lasciato spazio a dubbi sulla loro colpevolezza in merito all’accusa principale: l’associazione mafiosa.

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Il peso delle parole della Cassazione

La Cassazione, nel 2023, aveva criticato aspramente la sentenza di secondo grado, evidenziando delle "lacune motivazionali" che andavano colmate. L'accusa aveva puntato nuovamente sulla conferma delle pene, ma le difese hanno insistito nel sostenere l’innocenza dei propri assistiti, confidando in una revisione significativa. Così non è stato. Gli avvocati difensori non hanno nascosto la loro delusione: Ascanio Donadio, legale di Antonio Raso, si è detto sorpreso della decisione, dichiarando: “Una sentenza che chiaramente non ci aspettavamo, all'esito del giudizio della Cassazione, che era stato severissimo e aveva censurato ogni parte della motivazione.” Parole che lasciano intendere che la battaglia legale non si fermerà qui. Enrico Grosso, collega di Donadio, ha rincarato la dose: “Non mi capacito di come la Corte d'appello potrà motivare. Siamo molto curiosi di leggere le motivazioni.” Anche per Guido Contestabile, difensore di Nicola Prettico, la sentenza è stata uno shock, e ha già annunciato l’intenzione di proporre ricorso in Cassazione.

Un sistema criminale radicato nel territorio

L'inchiesta Geenna è solo uno dei tanti episodi che negli ultimi anni hanno rivelato quanto la 'ndrangheta sia radicata non solo nel Sud Italia, ma anche in regioni apparentemente isolate dal fenomeno mafioso, come la Valle d'Aosta. Nonostante l’apparente distanza geografica dai centri nevralgici delle cosche calabresi, l’inchiesta ha dimostrato l’esistenza di una locale di 'ndrangheta operante ad Aosta. La Cassazione, nell’aprile 2023, ha confermato in via definitiva le condanne per quattro imputati accusati di associazione mafiosa, legittimando la presenza delle cosche in un territorio che, fino a pochi anni fa, si riteneva immune da tali infiltrazioni.

Questo processo ha anche messo in luce come la criminalità organizzata sia riuscita a insinuarsi nelle pieghe della politica e dell’economia locale, stringendo legami con esponenti delle istituzioni e con imprenditori del territorio. Per esempio, il caso di Antonio Raso, titolare di un ristorante ad Aosta, è emblematico di come la mafia possa radicarsi nel tessuto economico locale, mentre l'ex consigliere comunale Nicola Prettico rappresenta il punto di contatto tra il crimine organizzato e le istituzioni.

Libera: “Occorrono anticorpi contro la ‘ndrangheta”

La sentenza, sebbene non definitiva, ha sollevato molte riflessioni sulla necessità di rafforzare la lotta contro la criminalità organizzata. Donatella Corti, referente di Libera Valle d'Aosta, ha commentato: “Quello che noi possiamo fare è non smettere di mettere in luce determinate problematiche, fare in modo che chi amministra si renda conto sempre di più che questa non è una possibilità, ma è una realtà per la quale bisogna avere gli anticorpi.” Le parole di Corti sottolineano l’urgenza di una maggiore consapevolezza pubblica e politica sul fenomeno mafioso, che non può essere sottovalutato in nessuna parte d'Italia.

Libera, parte civile nel processo, ha ribadito la sua determinazione a proseguire nel lavoro di sensibilizzazione e monitoraggio del fenomeno mafioso. Corti ha poi aggiunto che l’organizzazione parteciperà a una tre giorni a Lamezia Terme dedicata alla lotta contro la mafia e la corruzione, con un focus specifico sulla 'ndrangheta.

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Le parti civili e il risarcimento

La sentenza d’appello-bis ha anche stabilito che i tre imputati condannati dovranno risarcire le parti civili: la Regione Valle d'Aosta, il Comune di Aosta, il Comune di Saint-Pierre e l’associazione Libera. La cifra complessiva supera i 55 mila euro, con 30 mila euro destinati alla Regione, 20 mila al Comune di Aosta, e 5 mila euro ciascuno al Comune di Saint-Pierre e a Libera.

Mentre le difese si preparano a tornare in Cassazione, la sentenza della Corte d’appello di Torino rappresenta un ulteriore tassello in questa lunga battaglia contro le infiltrazioni mafiose in Valle d’Aosta. Un territorio che, pur essendo piccolo e marginale nel panorama nazionale, si è rivelato un terreno strategico per le attività della 'ndrangheta. E ora, con questa sentenza, si riafferma la necessità di tenere alta la guardia contro un fenomeno che non risparmia nessuna parte del Paese.

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