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Calcio e malavita
30 Settembre 2024 - 22:03
Un patto di non belligeranza che resiste da oltre quarant'anni tra gli ultras del Milan e quelli dell'Inter, siglato all'indomani del Mundialito del 1983, ma che oggi, secondo gli inquirenti, si è trasformato in qualcosa di ben più oscuro: un accordo con legami profondi alla criminalità organizzata. La maxi-operazione condotta dalla polizia e dalla guardia di finanza, sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) della Procura di Milano, rappresenta l'ultimo, decisivo tassello di un mosaico dove le curve calcistiche, in particolare quelle milanesi, si rivelano terreno fertile per gli affari delle cosche mafiose.
Tra i 19 ultras arrestati figurano nomi noti in tutto il panorama ultras italiano, protagonisti di una trama già emersa in altre inchieste dove il binomio mafia-ultras è finito sotto i riflettori della magistratura. Torino, per esempio, fu al centro dell'operazione "Alto Piemonte", che rivelò il tentativo della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno di infiltrarsi nel lucroso giro del bagarinaggio dei biglietti della Juventus. Un business capace di fruttare oltre 30 mila euro a partita a certi gruppi ultras, al punto che i clan avevano pianificato la nascita di un nuovo gruppo organizzato all'interno dell'Allianz Stadium.
Dall'operazione "Last Banner", la storica inchiesta che ha portato alla prima condanna per associazione a delinquere per i leader della curva juventina, non emerse l'aggravante mafiosa, ma la sentenza fu comunque severa. Nell'aprile scorso, la Corte d'Appello di Torino aumentò le pene per cinque capi ultrà, ritenuti colpevoli di pressioni ed estorsioni ai danni della società bianconera durante la stagione 2018-19, finalizzate a mantenere privilegi e benefici. Un modus operandi che rispecchia il sempre più stretto legame tra tifoserie organizzate e il crimine organizzato.
A Roma, l'inchiesta "Grande Raccordo Criminale" ha svelato come Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, storico fondatore degli Irriducibili Lazio, avesse goduto della protezione del clan camorristico dei Senese. Una storia finita tragicamente il 7 agosto 2019, quando Piscitelli venne freddato da un killer in pieno giorno, mentre era seduto su una panchina del Parco degli Acquedotti a Roma.
L'inchiesta milanese, però, ha radici più profonde. Già prima dell'omicidio di Antonio Bellocco, ucciso a inizio settembre dal fratello dei Boy San Andrea Beretta, gli inquirenti avevano puntato i riflettori sulla stretta connessione tra le tifoserie e la criminalità organizzata. Beretta, gravemente ferito da un colpo di pistola esploso da un amico con precedenti per associazione mafiosa, aveva legami con Vittorio Boiocchi, detto lo Zio, storico leader della curva Nord dell'Inter, assassinato due anni fa con cinque colpi di rivoltella sotto casa sua. La sua morte aveva alzato ulteriormente il livello di allerta su un sistema ormai radicato e ben strutturato.
Le indagini, secondo il procuratore capo Marcello Viola, hanno portato alla luce una verità inquietante: "I vertici delle due tifoserie avevano instaurato un rapporto di non belligeranza per massimizzare i profitti illeciti". Traffici di biglietti, gestione dei parcheggi, merchandising non autorizzato, vendita di bibite all'interno degli stadi: tutto finiva sotto il controllo delle frange più estreme del tifo, con gli ultras che, da nemici storici, diventavano alleati silenziosi di un sistema malavitoso estremamente redditizio.
Dall'inchiesta emerge anche la figura dei fratelli Francesco e Luca Lucci, tra gli arrestati di sponda rossonera. Luca, già noto alle cronache per un’accusa di narcotraffico, è diventato una figura di culto per una parte della curva del Milan: ogni volta che sventola la bandiera a lui dedicata, con il volto del Joker, il messaggio che si trasmette è chiaro. L’arresto per droga non ha fatto altro che alimentare la sua aura di martire e simbolo di resistenza ultras, in un mondo dove il confine tra tifo e criminalità è sempre più labile e pericoloso.
Questo patto di non belligeranza, siglato in nome della pace sugli spalti, si è dunque evoluto in una silente collaborazione tra i gruppi più radicali delle due curve, non solo per evitare scontri violenti, ma soprattutto per spartirsi i lauti profitti di un business fuori controllo.
Quella che un tempo era una rivalità feroce, si è trasformata in un’alleanza che ora fa tremare non solo le società sportive, ma anche le autorità inquirenti.
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