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Cronaca
24 Settembre 2024 - 23:36
Sei persone sono state fermate a Torino e nell'area metropolitana con accuse gravissime: associazione mafiosa, ricettazione, estorsione aggravata e detenzione illegale di armi. L'operazione "Factotum", condotta dalla guardia di finanza di Torino con il supporto del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (Scico) di Roma e sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia torinese, ha portato all'arresto degli indagati grazie a una fitta rete di intercettazioni, pedinamenti e osservazioni che hanno svelato un sodalizio criminale legato alla 'ndrangheta, ben radicato nella zona di Carmagnola. Gli arrestati, secondo le accuse, si occupavano di 'protezione', recupero crediti, intermediazione di manodopera e ingerenza nei rapporti tra imprese del settore edile, operai, sindacati e cassa edile. Tra gli arrestati figura anche un sindacalista.
Punto centrale dell'inchiesta è uno dei fermati, già implicato nell'inchiesta "Minotauro", che aveva fatto luce sull'insediamento della 'ndrangheta in Piemonte.
Quest'uomo è considerato un dirigente e organizzatore della rete mafiosa calabrese, attivo nella gestione di incontri tra clan e nella spartizione del territorio. Un boss influente a cui persino i criminali comuni si rivolgevano prima di agire, cercando il suo consenso.
Le indagini che hanno portato a questa operazione derivano dalle operazioni "Carminius" e "Fenice" del 2019, che avevano già colpito una struttura legata ai clan di Vibo Valentia, attiva nel Torinese.
Gli investigatori hanno scoperto che gli imprenditori di Carmagnola erano costretti a pagare tangenti per ottenere protezione dall'organizzazione, soldi che venivano poi utilizzati per finanziare le spese legali dei membri del sodalizio e delle loro famiglie. Un altro degli arrestati, affiliato alla 'ndrangheta dal 2003, non solo si occupava di far circolare le comunicazioni interne al gruppo, ma organizzava anche falsi testimoni per depistare i processi e screditare i collaboratori di giustizia. L'uomo ha persino estorto beni preziosi per un valore di circa 20 mila euro a una vittima, usando la propria affiliazione mafiosa come arma di pressione.
Tra i fermati figura anche un detenuto già condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Dall'interno del carcere, l'uomo avrebbe continuato a fornire sostegno logistico e finanziario a favore del latitante Pasquale Bonavota, un boss di spicco del clan omonimo di Vibo Valentia.
Ma l'operazione "Factotum" ha portato alla luce anche una sorpresa. Tra gli arrestati c'è Francesco D'Onofrio, ex militante dei Colp (Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria), gruppo attivo negli anni Ottanta. Nonostante D'Onofrio abbia sempre negato qualsiasi legame con la criminalità organizzata, i collaboratori di giustizia lo descrivono come un vero e proprio dirigente della rete 'ndranghetistica piemontese. Le accuse contro di lui sono pesanti: associazione mafiosa, estorsione e violazione della legge sulle armi.
Due pentiti lo hanno addirittura collegato all'omicidio del magistrato Bruno Caccia, procuratore capo di Torino, ucciso nel 1983. Sebbene il caso sia stato archiviato per mancanza di prove, il nome di D'Onofrio continua a riecheggiare nei corridoi della giustizia subalpina.
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