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20 Gennaio 2023 - 19:32
Matteo Messina Denaro
I beninformati sostengono che la cattura del latitante Matteo Messina Denaro, soprannominato «‘U siccu» (il secco), costituisce una vera manna per gli appassionati della smorfia napoletana. Il primo numero da giocare al lotto sarebbe il 30 poiché il temibile boss della mafia ha beffato le forze dell’ordine per un intero trentennio. Il suo arresto, inoltre, coincide col trentesimo anniversario della cattura di un altro uomo d’onore, quel Salvatore Riina (Totò per gli amici) che Wikipedia definisce «il più potente, pericoloso e sanguinario mafioso di sempre».
Il 30 – stando a un quotidiano della Trinacria – andrebbe unito al 9, avendo la Rai, lo scorso lunedì 9 gennaio, iniziato a trasmettere la serie televisiva «Il nostro generale», sulle imprese di Carlo Alberto dalla Chiesa, vittima della mafia, nel settembre 1982, in quel di Palermo. Tuttavia, secondo altri esperti, non bisognerebbe trascurare il 16 perché l’arresto di Messina Denaro è avvenuto il 16 gennaio, festa di San Marcello, patrono degli stallieri e degli allevatori di cavalli.
Non si dimentichi che il povero Giuseppe Di Matteo, dodicenne, strangolato e sciolto nell’acido nitrico dallo stesso malavitoso, amava moltissimo cavalcare. Ma occorre pure prendere in seria considerazione i numeri 21 (il boss) e 61 (gli anni del boss). Insomma, stando ai cabalisti, «tutto s’incastra magicamente all’improvviso, come in un ipotetico puzzle durato decenni, con tanto di coincidenze e anniversari». Sarà!
Le cronache delle ultime settimane inducono a riflettere sulla storia del lotto che fu istituzionalizzato, in Piemonte, nel 1754 dal re Carlo Emanuele III. Il sabaudo sovrano stabilì che il gioco dovesse tenersi sotto il diretto controllo dell’autorità governativa, per conto dell’erario. A quel tempo, le estrazioni avevano luogo nel salone d’onore del palazzo civico di Torino.
La torinese piazza delle Erbe, poi piazza Palazzo d i città, ritratta da Michele Graneri (1708-1762)
Nell’ex capitale degli Stati sardi, durante il periodo napoleonico, si sarebbe verificato il singolare episodio che vide protagonista un certo dottor Caramagna, proprietario di una casa all’angolo fra le vie Arsenale e Santa Teresa. All’epoca, siccome le estrazioni erano state trasferite a Genova, i botteghini torinesi continuavano ad accettare le giocate il giorno successivo a quello della chiusura ufficiale. Caramagna, servendosi di una «rondine amica» che faceva ritorno al tetto natio, conobbe in anticipo i numeri fortunati e azzeccò una quaterna vincente. Coi proventi della giocata fece restaurare la propria dimora, poi detta «ca dël rondolin».
L’episodio figura nelle opere di alcuni storici subalpini. Giovanni Bragagnolo ed Enrico Bettazzi, ad esempio, nel secondo volume della loro «Torino nella storia del Piemonte e d’Italia» – edito dalla Utet nel 1919 – lo danno per realmente accaduto. «Chi nutrisse qualche dubbio sull’autenticità del fatto – commenta Riccardo Gervasio – riconosca almeno alla leggenda il pregio d’un certo garbo estroso, che esclude perfino l’ombra d’una supposta maldicenza da parte degli invidiosi». Sta di fatto che la direzione del lotto impose, nell’anno di grazia 1800, che le giocate cessassero, in Torino, all’ora esatta del giorno in cui a Genova si procedeva all’estrazione dei numeri. Quattro anni dopo, presso la chiesa di Santa Cristina, ricominciarono le estrazioni torinesi.
In verità, negli Stati sabaudi, il lotto risale a un’epoca assai più lontana. A introdurlo per la prima volta fu il duca Carlo Emanuele I di Savoia sul finire del Cinquecento. Ne beneficiarono tre ebrei che ottennero il monopolio delle scommesse. Il gioco consisteva nell’abbinare una puntata in denaro al sorteggio delle due persone che avrebbero sostituito altrettanti componenti dei consigli municipali di Genova, Milano e Venezia.
Nel 1620 lo stesso Carlo Emanuele I concesse l’esclusiva del gioco al proprio portarchibugio, Carlo Forneris. L’anno seguente il privilegio passò a Pietro Antonio d’Albano, il credenziere della giovanissima duchessa Maria Cristina di Francia. Ma nel 1655 Carlo Emanuele II, ritenendo che il lotto fosse un’immorale forma di speculazione, lo proibì, minacciando la confisca degli averi e cinque anni di galera ai contravventori.
<<Libro de' sogni>> ossia come vin cere al lotto, edizione 1882
Il gioco venne ripristinato nel 1674. Quell’anno, un tal Chiapissone, con alcuni compagni, presentò un lungo memoriale per introdurre quattro estrazioni negli Stati sabaudi. Il privilegio fu accordato sotto parvenza di azione benefica, cioè come dote di cento lire per cinque povere ragazze da marito. Si chiamò pertanto «lotto delle zitelle». Più tardi, trovandosi a corto di fondi, Vittorio Amedeo II concesse a Carlo Amedeo Gratapaglia di accettare ufficialmente le scommesse, versando un canone annuo di 7.500 lire all’erario. Di lì a poco il lotto fu proibito per l’ennesima volta finché, nel 1742, un ebreo di Casale ne ottenne nuovamente il monopolio. Il 23 luglio 1754, infine, nacque il Regio Lotto, l’antesignano del gioco odierno.
E per finire, ecco alcuni numeri «torinesi» riferiti, nel 1898, da Alberto Viriglio che li trasse dalla «Cabala del vero cappuccino»: il Teatro Regio 51, il Po 46, la Dora Riparia 68, il toro 10, il Teatro Alfieri 64, il Teatro Carignano 6, Torino 19. «Bene scelti e giuocati a tempo opportuno, questi numeri – osservò argutamente Viriglio – possono riuscire eccellenti».
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