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Quaranta ore di sciopero, zero sconti: i metalmeccanici strappano il contratto in piena crisi

Uliano sfida Elkann e avverte: ora basta alibi per le fabbriche

Quaranta ore di sciopero, zero sconti: i metalmeccanici strappano il contratto in piena crisi

Quaranta ore di sciopero, zero sconti: i metalmeccanici strappano il contratto in piena crisi (foto: Uliano ed Elkann)

Sono stati mesi di tensione, scioperi, trattative al limite e un clima industriale che più cupo non si potrebbe immaginare. Guerra, dazi, produzione in caduta libera, incertezze sul futuro dell’auto e delle grandi fabbriche torinesi. In questo scenario, la firma del nuovo contratto dei metalmeccanici diventa molto più di un accordo sindacale: è una prova di forza, una linea tracciata dentro una crisi che non accenna a fermarsi.

All’assemblea torinese della Fim Cisl, con 250 delegati provenienti dalle aziende metalmeccaniche del territorio, il segretario generale Ferdinando Uliano non usa giri di parole. Il rinnovo contrattuale è arrivato nonostante tutto fosse contro. Nonostante un contesto economico che definisce apertamente “pericoloso”, e nonostante – accusa – il tentativo delle associazioni industriali di impedire il rinnovo stesso del contratto. Una partita giocata fino all’ultimo metro, con 40 ore di sciopero, blocchi degli straordinari, presidi e mobilitazioni diffuse in tutta Italia.

Il punto centrale, per Uliano, è che il contratto non è piovuto dall’alto. È stato strappato. Riconquistando il tavolo negoziale grazie alla partecipazione diretta delle lavoratrici e dei lavoratori e alla tenuta del fronte sindacale. Un passaggio che il leader Fim rivendica come politico prima ancora che sindacale: senza conflitto, senza pressione, senza unità, il contratto non sarebbe mai arrivato.

Ferdinando Uliano

Il risultato, spiega Uliano, è un rinnovo che incide davvero sia sul piano economico sia su quello normativo, con effetti concreti per 1,7 milioni di metalmeccanici in tutta Italia. Un numero che da solo racconta il peso dell’accordo, ma che a Torino assume un valore ancora più sensibile. Qui il contratto riguarda oltre 55.000 lavoratori, concentrati in uno dei territori simbolo dell’industria italiana, oggi alle prese con una crisi strutturale che dura da oltre due anni.

Il segretario della Fim Cisl Torino, Rocco Cutrì, lega il contratto alla fase che ora si apre: quella del confronto diretto nelle fabbriche. A partire da gennaio 2026 e per tutto febbraio, il sindacato porterà il testo azienda per azienda, illustrandone i contenuti e sottoponendolo al voto dei lavoratori. Un passaggio che non viene presentato come formale, ma come decisivo: “far vivere il contratto” nei luoghi di lavoro, tra operai e impiegati, diventa il banco di prova della credibilità sindacale.

Ma l’assemblea torinese non si ferma al contratto. Il tema dell’industria dell’auto e del futuro delle grandi aziende domina il dibattito e diventa terreno di scontro diretto con i vertici industriali e finanziari. Qui Uliano alza ulteriormente il tiro, chiamando in causa John Elkann e Exor.

Il riferimento è a Iveco, ceduta a Tata Motors. Uliano usa una frase destinata a fare rumore: vorremmo per Iveco lo stesso amore che Elkann dichiara per la Juventus. Una metafora volutamente popolare, ma politicamente chiarissima. Secondo il leader Fim, Exor dovrebbe mantenere una quota nell’azienda, dimostrando di avere “un pezzettino di cuore” anche per le fabbriche e per gli operai che negli anni hanno garantito produzione e profitti. Non è solo una questione finanziaria, ma di responsabilità industriale e sociale.

Il messaggio è netto: la stagione delle dismissioni e delle uscite senza rete ha lasciato ferite profonde nel tessuto produttivo torinese. E ogni nuova operazione viene guardata con crescente diffidenza da chi rappresenta il lavoro.

Sul fronte Stellantis, Uliano affonda ancora di più. Le recenti aperture europee sulla neutralità tecnologica e la revisione delle regole sull’auto vengono lette come un cambio di scenario. Non risolutivo, ma sufficiente – sostiene – a togliere alibi al gruppo. Ora Stellantis deve presentare un vero piano industriale per rilanciare gli stabilimenti italiani.

Il segretario Fim parla di un passaggio cruciale: l’Europa sembra allontanarsi dal dogma del 2035 tutto elettrico e apre alla neutralità tecnologica. Un segnale positivo, ma non sufficiente. Servono altri passi, perché le nuove regole non diventino un freno allo sviluppo produttivo. Tuttavia, già così, secondo Uliano, ci sono le condizioni per costruire un piano che punti su ibrido, investimenti, ricerca e sviluppo.

Il dato che pesa come un macigno è quello sulla produzione: nel 2025, ricorda Uliano, Stellantis toccherà il livello più basso mai registrato in Italia. Un minimo storico che impone una svolta. Alcuni investimenti sono partiti, come a Mirafiori e Melfi, ma altri siti restano in sospeso, come Cassino, dove il rilancio appare ancora troppo lento.

Il giudizio sull’era Tavares è implicito ma severo: un piano troppo sbilanciato sull’elettrico, che oggi mostra tutti i suoi limiti. La neutralità tecnologica, per il sindacato, è l’occasione per correggere quella rotta e riposizionare le produzioni senza lasciare indietro fabbriche e lavoratori.

In questo quadro, il contratto appena firmato diventa una sorta di argine. Non risolve la crisi industriale, ma rimette al centro il lavoro, la contrattazione e il ruolo del sindacato in una fase in cui tutto sembra spingere verso la marginalizzazione degli operai. Uliano lo dice chiaramente: ora il contratto va fatto vivere tra le persone. È lì che si misura la sua forza. È lì che si capisce se la battaglia di questi mesi è servita davvero.

Torino, ancora una volta, si scopre laboratorio e frontiera. Tra fabbriche che aspettano un futuro e lavoratori che non vogliono essere spettatori passivi. Il contratto è una tappa. La partita, quella vera, è appena cominciata.

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