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Anche il vescovo sta con i lavoratori Konecta: “Così si mettono in ginocchio Ivrea e Asti”

Il vescovo Daniele Salera a Officina H il 23 dicembre: la «razionalizzazione» di Konecta mette a rischio 700 famiglie di Ivrea e 400 di Asti tra stipendi da fame, trasferimenti forzati e il pericolo di svuotamento dei territori.

Anche il vescovo sta con i lavoratori Konecta: “Così si mettono in ginocchio Ivrea e Asti”

Monsignor Daniele Salera

La notizia è che anche il vescovo Daniele Salera parteciperà all’incontro convocato per martedì 23 dicembre alle ore 16, al Polo universitario Officina H. E quando un vescovo decide di metterci la faccia, vuol dire che il problema è grosso davvero. Altro che tavolo tecnico, altro che riorganizzazione aziendale: qui siamo davanti a una botta sociale che rischia di travolgere 700 famiglie eporediesi e altre 400 astigiane, con buona pace delle parole rassicuranti scritte nei piani industriali.

Perché la storia è questa, nuda e cruda: Konecta – ex Comdata, multinazionale spagnola da oltre 120 mila dipendenti nel mondo – ha deciso di chiudere Ivrea e Asti e di portare tutto a Torino. Si chiama “razionalizzazione”, ma tradotto dal linguaggio aziendale significa una cosa sola: spingere i lavoratori ad andarsene da soli. Senza licenziamenti, senza traumi ufficiali, ma con una pressione silenziosa che fa lo stesso effetto.

Il trasferimento entro giugno 2026 nella sede di Strada del Drosso viene presentato come un passaggio tecnico. Peccato che i numeri raccontino un’altra verità. Stipendi da 600-700 euro per i part-time, poco più di 1.100 euro per i full-time. Con questi soldi dovresti pure pagarti il treno, l’auto, le ore buttate ogni giorno in viaggio, e magari incastrare anche figli, anziani, turni e vita familiare. Una missione impossibile. E infatti il sospetto è chiaro: chi non ce la fa, mollerà.

È su questo terreno che intervengono i vescovi Daniele Salera e Marco Prastaro, con un comunicato congiunto che non usa il turibolo (braciere metallico utilizzato per bruciare l'incenso) ma parole pesanti come macigni. Parlano di territori impoveriti, di indotto colpito, di comunità lasciate a se stesse. E soprattutto fanno domande che nessuno, finora, ha avuto il coraggio di fare ad alta voce: che fine hanno fatto i percorsi di riqualificazione? Chi ha condiviso questa scelta con le istituzioni locali? Esiste un piano per svuotare le periferie e concentrare tutto nei capoluoghi?

konecta

Domande che bruciano, perché toccano un nervo scoperto: Ivrea e Asti non sono numeri su un foglio Excel. Sono territori che già hanno dato, che già hanno perso fabbriche, servizi, presìdi. E ora rischiano di perdere anche uno degli ultimi grandi bacini occupazionali rimasti. Con buona pace delle narrazioni sull’innovazione, sull’intelligenza artificiale e sul futuro che avanza, sempre e solo sulle spalle degli stessi.

In questo contesto, la presenza del vescovo Salera all’incontro del 23 dicembre non sarà una comparsata istituzionale ma una scelta politica, nel senso più alto del termine. Il sindaco Matteo Chiantore lo ha invitato esplicitamente come segno di vicinanza a lavoratrici e lavoratori, e il vescovo ha detto sì. Perché qui non si tratta di benedire una sala, ma di stare dalla parte di chi rischia di restare a piedi.

Il giorno prima, il 22 dicembre, la partita si giocherà anche a Roma, al tavolo del Ministero del Lavoro. Un appuntamento che non può finire con il solito comunicato vuoto. Perché il tempo delle formule di rito è finito. Qui servono soluzioni vere, non rinvii. Servono scelte che tengano insieme lavoro, dignità e territori, e non solo i margini di profitto.

Martedì a Officina H non si parlerà solo di Konecta. Si parlerà di che fine fanno le persone quando un’azienda decide che un territorio non serve più. Si parlerà di quanto vale davvero il lavoro, quando a pagare sono sempre i più deboli. E se persino un vescovo sente il bisogno di esserci, forse è il segnale che questa volta non si può far finta di niente.

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