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Konecta: Ivrea e Asti a rischio chiusura. Tranquilli: c'è il "tavolo"...

Alla fine resta una verità brutale, che nessun comunicato riuscirà a coprire: queste multinazionali non odiano i lavoratori, semplicemente non gliene importa nulla. Non è cattiveria, è indifferenza. Che è peggio. Perché contro la cattiveria ti difendi, contro l’indifferenza no. L’indifferenza è efficiente. E infatti funziona benissimo.

Konecta: Ivrea e Asti a rischio chiusura. Tranquilli: c'è il "tavolo"...

Konecta: Ivrea e Asti a rischio chiusura. Tranquilli: c'è il "tavolo"...

Il futuro di Konecta Spa torna al centro del dibattito politico e sindacale piemontese e, ancora una volta, Ivrea e Asti finiscono al centro di una riorganizzazione aziendale che rischia di lasciare segni profondi non solo sul piano occupazionale, ma sull’intero tessuto sociale ed economico di due territori già messi a dura prova da anni di arretramento industriale. Una vertenza che, al di là delle formule tecniche e delle rassicurazioni istituzionali, parla di persone, famiglie, equilibri di vita costruiti attorno a un lavoro che oggi rischia di essere spostato altrove con un colpo di penna.

Dopo l’annuncio della multinazionale spagnola – subentrata definitivamente a Comdata, marchio storico del customer care italiano – di accorpare a partire da giugno 2026 tutte le sedi piemontesi nel solo polo di Torino, la vertenza è esplosa in tutta la sua portata. I numeri sono tutt’altro che astratti: 1.100 lavoratrici e lavoratori coinvolti, di cui circa 700 a Ivrea e 400 ad Asti, molti con contratti part time e livelli retributivi medio-bassi, per i quali un trasferimento forzato verso il capoluogo significherebbe un aggravio economico difficilmente sostenibile. Un pendolarismo quotidiano che, per molti, rischia di trasformarsi in una scelta obbligata tra il lavoro e la tenuta della propria vita familiare.

Un passaggio politico significativo è arrivato in Consiglio regionale, nel corso del question time. L’assessore Gian Luca Vignale ha annunciato che il prossimo 22 dicembre è stato convocato un tavolo di confronto presso il Ministero del Lavoro tra azienda e organizzazioni sindacali. Una risposta che è arrivata a due interrogazioni dedicate proprio a questa vertenza.

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La prima interrogazione, presentata da Alberto Unia (M5S), chiedeva se la Regione intendesse attivare un percorso di confronto strutturato, coinvolgendo non solo l’azienda e i sindacati ma anche gli enti locali, con l’obiettivo di esaminare nel dettaglio il piano industriale di Konecta e individuare soluzioni alternative alle chiusure, a tutela dell’occupazione e dell’economia del Canavese. Un territorio che, non va dimenticato, ha già pagato un prezzo altissimo in termini di deindustrializzazione, perdendo negli anni presìdi produttivi, competenze e posti di lavoro senza che a ciò corrispondesse una reale riconversione.

Nella seconda, Sergio Bartoli (Lista Civica Cirio Presidente) ha messo nero su bianco le ricadute concrete dell’operazione annunciata dall’azienda: l’accorpamento a Torino coinvolgerebbe lavoratori che, nella maggior parte dei casi, non hanno margini economici per sostenere quotidianamente lunghi spostamenti. Una scelta che, pur non configurandosi formalmente come un licenziamento, rischia di trasformarsi in una uscita forzata dal lavoro, soprattutto per chi non potrà permettersi i costi, il tempo e lo stress del trasferimento.

Nella risposta letta in Aula – predisposta dall’assessora Elena ChiorinoVignale ha chiarito che «l’esito dell’incontro del 22 dicembre sarà un passaggio fondamentale per avere elementi concreti e aggiornati», aggiungendo che, successivamente, la Regione intende programmare ulteriori incontri per lavorare su basi condivise e individuare soluzioni nell’ambito delle competenze regionali. È stato inoltre confermato che sono in corso interlocuzioni con i sindaci di Ivrea e Asti, segnale di un coinvolgimento istituzionale più ampio, seppur ancora tutto da tradurre in atti concreti.

La convocazione del tavolo ministeriale è stata accolta con favore dal Movimento 5 Stelle. In una nota congiunta, Alberto Unia e la capogruppo regionale Sarah Disabato parlano di un passaggio necessario per fermare una decisione che «comporterebbe un impoverimento dei territori» e metterebbe in grave difficoltà soprattutto i lavoratori part time, già oggi costretti a fare i conti con salari bassi e poche tutele. «Non è troppo tardi – sottolineano – le istituzioni facciano il possibile per fermare la chiusura delle due sedi».

Sulla stessa linea Sergio Bartoli, che dopo il question time ha rivendicato l’attivazione immediata della Regione.

«I lavoratori di Konecta e le loro famiglie non sono soli», ha affermato, ricordando come lo spostamento della sede di lavoro di un numero così elevato di dipendenti abbia ricadute dirette sulla qualità della vita, sulle famiglie e sull’intero tessuto sociale. Pendolarismo forzato, meno tempo per la vita sociale e per il volontariato, comunità locali ulteriormente impoverite: un prezzo che rischia di essere pagato tutto da un lato solo, mentre l’azienda riorganizza i propri asset.

Dal Partito Democratico Alberto Avetta ha definito la convocazione del tavolo «un piccolo passo avanti», ma ha avvertito che non può essere considerata una risposta sufficiente. «Non possiamo accettare un ulteriore impoverimento dell’economia canavesana», ha stigmatizzato, ricordando che la sede di Ivrea – l’ex Comdata – rappresenta uno dei principali insediamenti produttivi del territorio. Avetta sostiene apertamente la battaglia dei sindacati e mette in discussione la sostenibilità industriale del piano annunciato: «Non è pensabile che un player internazionale come Konecta, con clienti importanti, non sia in grado di proporre soluzioni meno impattanti e più rispettose dei lavoratori e delle loro famiglie».

Ora la partita si sposta a Roma, al Ministero del Lavoro. Il 22 dicembre sarà una data chiave per capire se la vertenza Konecta imboccherà davvero la strada del confronto o se, ancora una volta, Ivrea e Asti dovranno assistere all’ennesimo arretramento industriale, consumato in nome dell’efficienza e pagato interamente dai territori. Insomma, un tavolo che non può limitarsi a prendere atto delle decisioni aziendali, ma che dovrà dimostrare se esiste ancora lo spazio per difendere lavoro, dignità e futuro.

Se questo è lavorare...

Eccole, le multinazionali dal cuore tenero e dal portafoglio blindato. Quelle che parlano inglese nei bilanci, spagnolo nei consigli di amministrazione e mutismo selettivo quando c’è da spiegare ai lavoratori perché devono attraversare mezza regione per continuare a guadagnare uno stipendio che già prima bastava a fatica. Quelle che non licenziano mai, ci mancherebbe: spostano, accorpano, ottimizzano. E se qualcuno resta indietro, pazienza. Non è un problema aziendale, è un problema di chi non si adatta.

La storia è sempre la stessa, solo che cambia il logo sulla facciata. Prima era Comdata, ora è Konecta. Prima parlavano di radicamento territoriale, ora di sinergie. Prima erano “una famiglia”, oggi sono “un polo”. In mezzo, come sempre, le persone, che però nei power point finiscono sotto la voce “risorse”, una parola che dice tutto: si usano, si spostano, si consumano.

Il capolavoro lessicale è questo: nessun licenziamento. Applausi. Peccato che il trucco sia vecchio come il capitalismo stesso. Non ti mando a casa, ti mando a Torino. Tutti i giorni. Da Ivrea. Da Asti. Con contratti part time, stipendi bassi, figli da portare a scuola e bollette da pagare. Non vuoi? Scelta tua. La porta è là. Formalmente pulito, sostanzialmente cinico. Il licenziamento morale, quello che non compare nelle statistiche ma svuota le case e i territori.

E qui entra in scena il grande alibi moderno: l’efficienza. Parola magica. L’efficienza non sbaglia mai, non ha responsabilità, non guarda in faccia nessuno. Se Ivrea chiude, non è perché a Madrid o a Londra hanno deciso che conviene così. No, è colpa dell’efficienza. Se Asti si svuota, non è una scelta aziendale, è una necessità di mercato. E se il mercato chiede sacrifici, indovinate chi deve farli? Spoiler: mai chi firma i piani industriali.

Il territorio? Un dettaglio folkloristico. Va bene per i comunicati stampa, per le foto con il sindaco, per dire che “crediamo nelle comunità locali”. Poi, quando i conti dicono altro, le comunità diventano zavorra. Ivrea, che ha già visto passare la storia dell’industria italiana come un treno perso mille volte, può accomodarsi di nuovo sul marciapiede.  Come se spostare centinaia di lavoratori fosse un problema logistico e non una questione di vita.

Il bello è che queste aziende non si sentono nemmeno cattive. Si sentono moderne. Inclusive. Responsabili. Hanno i codici etici, i bilanci di sostenibilità, le parole giuste al posto giusto. Poi però, quando qualcuno chiede: scusate, ma perché non investite qui?, la risposta è una formula neutra, impersonale, definitiva. Il piano industriale non lo consente. Come se il piano industriale fosse una legge di natura e non una decisione umana, revocabile, discutibile.

La politica, nel frattempo, convoca tavoli. Tavoli sempre più grandi, sempre più solenni. Tavoli dove si parla di tutto tranne che della cosa più semplice: perché il costo dell’efficienza deve ricadere sempre sugli stessi. I lavoratori ringraziano per l’attenzione, ma intanto fanno i conti: chilometri, ore, soldi. E scoprono che la matematica non mente mai.

Alla fine resta una verità brutale, che nessun comunicato riuscirà a coprire: queste multinazionali non odiano i lavoratori, semplicemente non gliene importa nulla. Non è cattiveria, è indifferenza. Che è peggio. Perché contro la cattiveria ti difendi, contro l’indifferenza no. L’indifferenza è efficiente. E infatti funziona benissimo.

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