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Cade il tabù dei motori termici, ma l’auto elettrica corre e non aspetta Bruxelles

Il dietrofront Ue sul 2035 dà ossigeno all’industria mentre l’elettrico conquista il mercato

L’Europa rompe il tabù del termico, ma l’elettrico avanza senza frenare

L’Europa rompe il tabù del termico, ma l’elettrico avanza senza frenare

Il parziale dietrofront di Bruxelles sul divieto totale di vendita dei motori termici dal 2035 viene accolto come una boccata d’ossigeno dall’industria automobilistica europea, ma il giudizio resta sospeso. Le misure annunciate dalla Commissione Europea segnano un cambio di passo rispetto alla linea più rigida del passato, senza però dissipare i dubbi sulla loro reale capacità di sostenere un settore in difficoltà. Una certezza, tuttavia, rimane: la transizione verso l’auto elettrica non si fermerà.

Nei Paesi dell’Unione europea il trend è ormai consolidato. Le vetture elettriche continuano a guadagnare quote di mercato e hanno raggiunto il 18% delle immatricolazioni: oggi, due auto su dieci vendute sono e-car. Un dato che fotografa una trasformazione già in atto, indipendente dalle correzioni normative introdotte a livello comunitario.

Ma cosa cambia concretamente dopo le decisioni della Commissione? Le case automobilistiche potranno continuare a vendere veicoli con motori a combustione interna anche oltre il 2035, entro un tetto massimo di emissioni pari al 10% di quelle registrate nel 2021. In termini pratici, questo significa la possibilità di immettere sul mercato un numero limitato di auto a benzina e diesel anche dopo la data che avrebbe dovuto segnare lo stop definitivo. Quel 10% di emissioni residue dovrà però essere compensato attraverso un sistema di crediti: i costruttori potranno accumularli utilizzando acciaio a basse emissioni prodotto in Europa oppure ricorrendo a carburanti sostenibili, come e-fuel e biofuel avanzati, a patto che non siano biocarburanti di origine alimentare. Secondo le stime dell’Ue, nel mercato post-2035 potrebbe così trovare spazio una quota compresa tra il 30 e il 35% di veicoli non pienamente elettrici.

Nel pacchetto presentato da Bruxelles rientra anche il sostegno a una filiera delle batterie interamente prodotta nell’Unione, insieme alla proposta di target nazionali obbligatori per il 2030 e il 2035 destinati alle flotte aziendali, che rappresentano circa il 60% delle vendite di auto nuove in Europa. Proprio sul fronte delle batterie arriva un segnale concreto dall’industria: Volkswagen ha inaugurato l’impianto PowerCo a Salzgitter, in Bassa Sassonia, in Germania. Qui verranno progettate, sviluppate e prodotte per la prima volta celle per batterie interamente in Europa destinate ai marchi del gruppo. «Rafforziamo la nostra posizione e la nostra indipendenza nella concorrenza globale» ha spiegato il ceo Oliver Blume.

Le reazioni politiche alle scelte della Commissione riflettono divisioni ormai note. Germania e Italia, che più di altri Paesi hanno spinto per una revisione delle regole, esprimono apprezzamento. Di segno opposto la posizione della Spagna: il premier Pedro Sanchez parla di «un errore storico dell’Europa» e ricorda che la lotta all’emergenza climatica «non è un capriccio ideologico». In Italia il pacchetto automotive incontra il favore del governo, che rivendica il ruolo avuto nel negoziato. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo definisce «equilibrato e pragmatico nel rispetto della competitività: un risultato rilevante che mostra come l’Italia con il suo approccio possa correggere politiche dannose». Il ministro degli Esteri Antonio Tajani sottolinea che, se fosse entrata in vigore la norma originaria, «in Italia avremmo perso 70.000 posti di lavoro». Ancora più netto il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, secondo cui «in poche ore abbiamo scardinato l’ideologia del Green Deal nel settore delle auto, con la rimozione del totem del 2035».

ADOLFO URSO

Molto più cauta la reazione del mondo industriale e delle associazioni di filiera. Il dialogo con le istituzioni viene apprezzato, così come la svolta politica, ma nessuno si sbilancia sugli effetti concreti delle nuove regole. L’Unrae evidenzia che restano molti nodi da sciogliere. In particolare sul concetto di Made in Europe: «Va capito più a fondo il possibile impatto sui consumatori in un contesto di globalizzazione, di interconnessione, in cui anche i marchi europei producono all’estero» sottolinea il presidente Roberto Pietrantonio. Ancora più critico il giudizio dell’Anfia, che parla di un «segnale timido». «Manca ancora la consapevolezza – osserva il presidente Roberto Vavassori – dello stato di crisi del settore, stretto tra la montante onda asiatica a cui non ci sono freni e l’amministrazione americana che, come le sirene con Ulisse, cerca di portarci con le nostre produzioni negli Usa».

In questo quadro, l’automotive europeo resta sospeso tra una parziale apertura normativa e una transizione che procede comunque a ritmo sostenuto. Il compromesso sul 2035 allenta la pressione immediata, ma non scioglie il nodo centrale: se le misure adottate saranno sufficienti a garantire competitività, occupazione e autonomia industriale in uno scenario globale sempre più aggressivo.

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