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Poche certezze nella vita: la morte, le tasse e un trasporto pubblico che continua a peggiorare

Il rapporto Pendolaria di Legambiente fotografa un sistema sottofinanziato, colpito dal clima e incapace di garantire mobilità come diritto

un trasporto pubblico che continua a peggiorare

Poche certezze nella vita: la morte, le tasse e un trasporto pubblico che continua a peggiorare

Ci sono poche certezze nella vita. La morte. Le tasse. E il fatto che il trasporto pubblico locale, in Italia, riesca sempre a fare un po’ peggio dell’anno prima. Non è pessimismo, è esperienza quotidiana. Basta salire su un treno regionale all’alba, aspettare un autobus che non arriva o tentare di incastrare coincidenze improbabili per capire che qualcosa, da tempo, si è rotto. E non per caso.

Il nuovo rapporto di Legambiente sul mondo dei pendolari non fa che mettere ordine in un disagio che milioni di persone conoscono fin troppo bene. Un disagio che non nasce oggi, ma che si trascina da anni, alimentato da tagli silenziosi, da scelte politiche sbilanciate e da una visione della mobilità che continua a trattare il trasporto pubblico come una voce di spesa da comprimere, non come un diritto da garantire.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Meno treni, meno corse, servizi ridotti all’osso. Convogli nuovi che arrivano, sì, ma non abbastanza da compensare quelli che vengono tolti. Linee che funzionano a intermittenza. Orari “provvisori” che diventano permanenti. Stazioni chiuse, banchine vuote, annunci che spiegano l’ennesima soppressione come se fosse una fatalità atmosferica e non una scelta precisa.

Nel frattempo, chi governa parla di grandi opere, di infrastrutture simbolo, di cantieri che fanno notizia. Ma nella vita reale dei pendolari non servono annunci roboanti: servono treni che passano, autobus che arrivano, coincidenze che funzionano. Servirebbe una rete pensata per le persone, non per i rendering.

Le linee peggiori continuano a essere sempre le stesse. Alcune sono diventate sinonimo di disservizio cronico, di attese infinite, di vagoni sovraffollati o vuoti perché nessuno si fida più. Altre entrano ogni anno in questa poco invidiabile classifica, come se il sistema avesse bisogno di rinnovare il proprio catalogo del disagio. Cambiano i territori, ma il copione resta identico: ritardi, guasti, corse cancellate, spiegazioni vaghe.

E poi c’è il clima, che non è più un alibi ma un moltiplicatore dei problemi. Piogge intense, caldo estremo, eventi improvvisi mettono in crisi infrastrutture fragili, mai davvero adeguate. Ogni temporale diventa un test di resistenza che il sistema perde regolarmente. Linee interrotte, binari allagati, servizi sospesi. Sempre con la stessa conseguenza: chi deve spostarsi resta fermo.

In questo scenario cresce una realtà di cui si parla ancora troppo poco: muoversi sta diventando un lusso. Per molte famiglie, spostarsi pesa sempre di più sul bilancio. Chi può permetterselo sceglie l’auto, chi non può resta ostaggio di un servizio pubblico inaffidabile. La mobilità, da strumento di libertà, rischia di trasformarsi in un fattore di esclusione. Se non puoi muoverti, non lavori, non studi, non partecipi.

Eppure, nonostante tutto, il trasporto pubblico continua a essere usato. Ogni giorno milioni di persone lo scelgono non per convinzione ideologica, ma per necessità. È la dimostrazione più evidente che la domanda c’è, ed è forte. Ma viene sistematicamente ignorata. Invece di rafforzare ciò che funziona per tutti, si preferisce investire in ciò che fa titolo, lasciando che il quotidiano si arrangi.

Qualche esempio positivo esiste, certo. Ci sono città che hanno scelto di rendere il trasporto pubblico più accessibile, più conveniente, più integrato. Ci sono linee migliorate, progetti urbani pensati per adattarsi a un clima che cambia. Ma restano eccezioni, non la regola. Isolate, spesso non replicate, quasi tollerate più che sostenute.

Il punto, allora, non è tecnico. È politico. È una scelta di campo. Continuare a considerare il trasporto pubblico locale come un problema secondario significa accettare un Paese più diseguale, più congestionato, più inquinato. Significa dire ai pendolari che il loro tempo vale meno. Che la loro fatica è il prezzo da pagare.

Poche cose sono certe nella vita, davvero. Ma finché non cambierà il modo di pensare la mobilità, una resterà intoccabile: chi prende ogni giorno un treno o un autobus dovrà continuare ad armarsi di pazienza. E non perché sia inevitabile. Ma perché, fino a oggi, qualcuno ha deciso che potesse andare bene così.

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