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17 Dicembre 2025 - 07:00
La lebbra è tornata in Europa dopo 40 anni? Cosa dicono davvero i casi di Romania e Croazia
Un salone di massaggi nel centro di Cluj-Napoca, in Transilvania. È qui che, tra la fine di novembre e la metà di dicembre 2025, le autorità sanitarie rumene hanno individuato le prime tracce di lebbra dopo oltre quarant’anni di assenza ufficiale nel Paese. Pochi giorni dopo, prima a Spalato e poi a Zagabria, anche la Croazia conferma un caso definito “importato” e isolato. Il peso storico della parola lebbra ha fatto il resto, alimentando reazioni emotive e titoli allarmistici. Ma i dati disponibili, le procedure attivate e le valutazioni degli esperti raccontano una storia diversa: una malattia oggi curabile, poco contagiosa e intercettata da sistemi di sorveglianza che hanno funzionato.
In Romania, il Ministero della Salute ha comunicato l’11 dicembre 2025 il primo caso confermato di lebbra a Cluj-Napoca. A risultare positiva è stata una delle quattro lavoratrici di un centro benessere del centro cittadino, tutte giovani donne di origine asiatica. Le altre tre sono state immediatamente poste sotto monitoraggio clinico ed epidemiologico. Il giorno successivo, il 12 dicembre, è arrivata la conferma di un secondo caso: la sorella della prima paziente. Il centro è stato chiuso in via temporanea e sottoposto a sanificazione con ozono e biocidi, mentre lo screening è stato esteso a colleghe e contatti stretti.

Le due sorelle, di 21 e 25 anni, provengono dall’Indonesia e si erano presentate in ospedale già il 26 novembre per la comparsa di lesioni cutanee sospette. Gli accertamenti hanno incluso biopsie cutanee, colorazioni specifiche per la ricerca di bacilli acido-alcol resistenti e test mirati a escludere la tubercolosi (TB). Le autorità sanitarie hanno più volte ribadito che il rischio per la popolazione generale è considerato basso. Le pazienti hanno iniziato la terapia specifica secondo i protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), un passaggio che riduce rapidamente la capacità di trasmissione del batterio. Il ministro Alexandru Rogobete ha precisato che non sono necessari controlli sui clienti del centro, invitando a evitare allarmismi e interpretazioni improprie.
Il quadro croato segue una linea simile. Il 14 dicembre 2025, l’Istituto croato di sanità pubblica (HZJZ – Hrvatski zavod za javno zdravstvo) ha reso noto un caso di lebbra definito “importato”. Si tratta di un lavoratore straniero originario del Nepal, residente in Croazia da circa due anni con la famiglia, preso immediatamente in carico dal sistema sanitario e avviato alla terapia antibiotica. L’ente ha chiarito che non esiste alcun rischio per la salute pubblica. Secondo gli specialisti croati e le ricostruzioni della stampa locale, si tratta del primo caso registrato nel Paese dal 1993. I contatti stretti sono stati identificati e sottoposti a profilassi post-esposizione o a monitoraggio sanitario. L’infettivologo Bruno Baršić ha escluso la presenza di un’epidemia, mentre il responsabile del servizio di epidemiologia dell’HZJZ, Bernard Kaić, ha confermato che la situazione è sotto controllo.
Dal punto di vista medico, la lebbra è una malattia infettiva cronica causata dal Mycobacterium leprae e, più raramente, dal Mycobacterium lepromatosis. Colpisce soprattutto la pelle e i nervi periferici. La trasmissione avviene in genere attraverso contatti stretti e prolungati con persone non trattate, principalmente tramite goccioline respiratorie. La maggior parte della popolazione ha una resistenza naturale all’infezione. Le forme cliniche vengono distinte in paucibacillari (PB) e multibacillari (MB). L’OMS raccomanda la multi-drug therapy (MDT – terapia multidrug), che combina rifampicina, dapsone e clofazimina per sei mesi nei casi PB e dodici mesi nei casi MB. La terapia è gratuita a livello globale grazie a programmi di collaborazione pubblico-privata. Dopo l’avvio del trattamento, l’infettività cala rapidamente e la persona diventa non contagiosa in tempi brevi. La diagnosi precoce resta l’elemento decisivo per prevenire disabilità e complicanze.
I numeri globali aiutano a contestualizzare. Nel 2024 sono stati notificati nel mondo 172.717 nuovi casi di lebbra in 188 Paesi e territori. Il 40,2% dei casi riguardava donne e il 5,4% bambini; i casi con disabilità di grado 2, cioè visibili, sono stati 9.157. I carichi maggiori restano concentrati nelle regioni Africa e Sud-Est asiatico. Nel 2023 i nuovi casi globali erano stati 182.815, con circa 131.000 nel solo Sud-Est asiatico. Nelle Americhe si concentra il 13,6% dei casi, oltre il 90% dei quali in Brasile. In Europa, la lebbra è rara e legata quasi esclusivamente a casi importati da aree endemiche. La letteratura scientifica descrive anche sporadici episodi autoctoni in Paesi mediterranei come Spagna, Grecia, Portogallo e Italia negli ultimi vent’anni, senza evidenze di trasmissione diffusa.
La notizia dei casi rumeni e croati nasce soprattutto dall’interruzione di un lungo silenzio epidemiologico. In Romanial’ultimo caso noto risaliva al 1981, in Croazia al 1993. Decenni in cui la lebbra era uscita dalla memoria sanitaria collettiva. I casi recenti mostrano invece l’efficacia dei sistemi di sorveglianza: triage clinico rapido, conferme microbiologiche e istopatologiche, chiusure precauzionali, sanificazioni, avvio immediato delle cure e tracciamento dei contatti. Un ruolo centrale lo gioca la mobilità internazionale. Le lavoratrici di Cluj-Napoca provengono dall’Indonesia, uno dei Paesi a più alta incidenza, mentre il caso croato riguarda un cittadino del Nepal. Con un periodo di incubazione che può superare i dieci anni, non è raro che l’infezione emerga molto tempo dopo l’esposizione iniziale.
Gli esperti invitano alla proporzionalità. L’infettivologo Matteo Bassetti ha ricordato che la lebbra è una malattia curabile e che i pazienti in terapia non sono più contagiosi, sottolineando la necessità di evitare stigma e semplificazioni. Le autorità rumene e croate insistono su alcuni punti chiave: la bassa contagiosità della malattia, l’assenza di rischio nei contatti sociali occasionali come trasporti o ambienti condivisi, l’efficacia della terapia MDT già avviata e il monitoraggio sistematico dei contatti, affiancato dalla profilassi quando indicata.
Le domande più frequenti trovano risposte basate sui fatti. La lebbra non si trasmette con una stretta di mano o su un autobus affollato. La trasmissione richiede convivenza prolungata o contatti stretti per mesi o anni con persone non trattate. La terapia dura sei o dodici mesi a seconda della forma ed è altamente efficace. La diagnosi è clinica e istopatologica, supportata da colorazioni come la Ziehl-Neelsen e, quando disponibili, da test molecolari. Le deformità sono legate a diagnosi tardive o a reazioni infiammatorie non controllate e oggi sono in gran parte prevenibili.
Le misure adottate hanno un valore soprattutto precauzionale. In Romania, la chiusura temporanea del centro benessere e la sanificazione servono a tutelare lavoratori e clienti e a rafforzare la fiducia pubblica. In Croazia, l’HZJZha applicato i protocolli per i casi importati, garantendo trasparenza e continuità informativa. Entrambi i Paesi si sono coordinati con l’OMS e con l’ECDC (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) per la validazione dei percorsi diagnostici e terapeutici.
Il riemergere di pochi casi non modifica il rischio complessivo in Europa. La rarità degli episodi, la loro natura prevalentemente importata, la bassa contagiosità della malattia e la rapidità con cui i sistemi sanitari attivano tracciamento e cure spiegano perché non si possa parlare di minaccia sanitaria. A livello globale, la lebbra resta inserita tra le malattie tropicali neglette (NTD – Neglected Tropical Diseases) e continua a richiedere programmi di prevenzione, diagnosi precoce e contrasto allo stigma.
Anche per l’Italia, le indicazioni sono chiare. Chi ha vissuto a lungo in aree endemiche di Asia, Africa o America Latina e presenta macchie cutanee con perdita di sensibilità o neuropatie atipiche dovrebbe rivolgersi al medico di base o a un centro di malattie infettive. La terapia non richiede isolamento sociale e consente una vita normale. Le strutture sanitarie dispongono dei farmaci raccomandati e di canali di consulenza specialistica con OMS ed ECDC.
Resta infine il tema dello stigma. La parola lebbra porta con sé secoli di paura ed esclusione. Oggi la sfida non è solo clinica, ma anche culturale. Parlare correttamente di morbo di Hansen, evitare etichette improprie e concentrarsi su diagnosi, cure e reinclusione sociale è parte integrante della risposta sanitaria. I casi di Romania e Croazia mostrano che la lebbra esiste ancora, ma anche che non è la minaccia evocata dall’immaginario collettivo. È una patologia rara in Europa, curabile e gestibile. La differenza la fanno informazione accurata, responsabilità istituzionale e capacità di spiegare i fatti senza amplificarli.
Fonti: Ministero della Salute della Romania, Istituto croato di sanità pubblica (HZJZ), Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), letteratura scientifica OMS sulle malattie tropicali neglette, dichiarazioni di Alexandru Rogobete, Bruno Baršić, Bernard Kaić, Matteo Bassetti.
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