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Konecta se ne va da Ivrea: 700 lavoratrici e lavoratori spinti verso l’uscita. Le reazioni del mondo politico

Accorpamento a Torino, pendolarismo insostenibile e rischio di licenziamenti mascherati. Politica e territori insorgono: interrogazioni in Regione e mozione in Consiglio comunale il 22 dicembre

Konecta se ne va da Ivrea: 700 lavoratrici e lavoratori spinti verso l’uscita. Le reazioni del mondo politico

Konecta se ne va da Ivrea: 700 lavoratrici e lavoratori spinti verso l’uscita. Le reazioni del mondo politico

La chiusura della sede Konecta di Ivrea non è più soltanto un’ipotesi industriale o una riorganizzazione aziendale annunciata con il linguaggio neutro dei piani strategici. È ormai una vertenza territoriale piena, che coinvolge direttamente lavoratrici e lavoratori, famiglie, istituzioni locali e Regione Piemonte, e che rischia di lasciare un segno profondo e duraturo nel tessuto economico e sociale dell’Eporediese e dell’Astigiano. Una vicenda che va ben oltre i confini di un’azienda e che tocca il tema, sempre più attuale, del diritto al lavoro nei territori non metropolitani.

Il piano industriale di Konecta SpA, multinazionale del customer care nata nel 2022 dalla fusione con Comdata, prevede infatti entro il 2026 la chiusura di due delle tre sedi piemontesi, Ivrea e Asti, con l’accentramento di tutte le attività nel polo di Torino. Una decisione che riguarda oltre 1.100 lavoratrici e lavoratori, di cui circa 700 a Ivrea e 400 ad Asti, e che viene formalmente presentata come una semplice riorganizzazione logistica. Ufficialmente non si parla di licenziamenti, ma di trasferimenti. Nella realtà quotidiana, però, per molti dipendenti il trasferimento equivale a una uscita forzata dal lavoro, senza che nessuno abbia il coraggio di chiamarla con il suo vero nome.

Per chi vive e lavora nell’Eporediese, nell’Astigiano o nelle aree più periferiche del Piemonte, il pendolarismo quotidiano verso Torino significa oltre un’ora e mezza di viaggio a tratta, quando va bene. Tempi che si traducono in tre ore al giorno sottratte alla vita familiare, agli impegni di cura, alla possibilità stessa di conciliare lavoro e quotidianità. A questo si aggiungono i costi economici di trasporto, che diventano insostenibili se rapportati alle retribuzioni reali. Gran parte dei dipendenti Konecta ha contratti part-time, con stipendi che si aggirano attorno ai 750 euro mensili, che arrivano a circa 1.100 euro solo nei casi di tempo pieno. In queste condizioni, andare a lavorare rischia davvero di diventare un lusso che non tutti possono permettersi.

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La situazione è particolarmente critica a Ivrea, dove la sede Konecta rappresenta la più grande realtà privata del territorio e un presidio occupazionale fondamentale soprattutto per donne e giovani. Molte lavoratrici sono inquadrate al terzo livello, hanno carichi familiari, figli piccoli o parenti da assistere, e una quotidianità già complessa che rende impossibile sostenere tempi e costi aggiuntivi di trasferimento. Una scelta che, di fatto, rischia di tradursi in licenziamenti mascherati, scaricando sui lavoratori il peso di una decisione aziendale presa altrove.

Su questo scenario è intervenuta con forza Alleanza Verdi Sinistra, che ha depositato in Consiglio regionale un’interrogazione firmata dalla capogruppo Alice Ravinale. Un atto politico che chiede esplicitamente alla Giunta piemontese quali azioni intenda intraprendere «al fine di scongiurare la delocalizzazione» e per tutelare una situazione occupazionale definita senza mezzi termini allarmante. «La decisione di Konecta – scrive Ravinale – solleva enormi preoccupazioni non solo per chi lavora, ma per i territori, che rischiano di essere svuotati di centinaia di persone, con un impatto diretto sulla microeconomia locale». Secondo AVS, la chiusura delle sedi di Ivrea e Asti produrrebbe un impoverimento strutturale di aree già fragili, colpite negli anni da processi di desertificazione industriale e perdita di presìdi produttivi.

Nell’interrogazione si ricorda anche come solo lo scorso giugno fosse stato firmato un accordo di solidarietà tra l’azienda e le organizzazioni sindacali (SLC CGIL, FISTEL CISL, UILCOM UIL), a dimostrazione di un equilibrio già precario. E come la crisi Konecta non rappresenti un caso isolato. A fine ottobre, infatti, TIM ha annunciato l’avvio della cessione di TeleContact, aprendo un altro fronte di incertezza per 130 lavoratori tra Ivrea e Aosta. Un segnale chiaro di un settore delle telecomunicazioni attraversato da continue riorganizzazioni che finiscono per scaricare il peso delle scelte industriali sui territori. Da qui la richiesta alla Regione di convocare con urgenza un tavolo di confronto con la dirigenza aziendale.

A prendere posizione è stato anche il Movimento Indipendenza Piemonte, che attraverso il coordinatore regionale Beppe Lauria e il responsabile canavesano Raffaele Costa parla senza mezzi termini di una scelta «dettata da logiche aziendali lontane dalle esigenze dei territori». Secondo il Movimento, il trasferimento forzato di oltre mille dipendenti significherebbe desertificazione industriale, perdita di uno dei principali insediamenti produttivi locali e un colpo durissimo all’indotto e al commercio. «È inaccettabile – affermano – che multinazionali possano smantellare presìdi industriali fondamentali senza alcun confronto con le comunità e senza che la politica intervenga a tutela dei cittadini».

Dal Consiglio regionale arriva anche la voce di Sergio Bartoli, consigliere della Lista Civica Cirio Presidente PML, che ha presentato un’interrogazione a risposta immediata. «Lavorare non può diventare un lusso», ha dichiarato Bartoli, ricordando come con stipendi di questo livello il trasferimento quotidiano verso Torino diventi semplicemente impraticabile. Bartoli richiama inoltre un aspetto spesso ignorato nel dibattito pubblico: molti lavoratori Konecta sono attivi nel volontariato, nella protezione civile, nello sport e nell’associazionismo, e il loro allontanamento quotidiano impoverirebbe ulteriormente il tessuto sociale del Canavese.

Sulla stessa linea il Movimento 5 Stelle, che parla apertamente di una decisione miope e di una strategia volta a spingere lavoratrici e lavoratori a lasciare l’azienda. «Diventa assurdo e immorale pensare che recarsi al lavoro sia un lusso», scrivono i dipendenti Konecta in una lettera aperta richiamata dal M5S, denunciando anche le pesanti ricadute sull’indotto e il drenaggio di risorse economiche fuori da un territorio che non sta vivendo una stagione felice.

La vertenza arriva ora anche nelle istituzioni cittadine. Lunedì 22 dicembre, il Consiglio comunale di Ivrea discuterà ufficialmente il caso Konecta grazie a una mozione presentata dal consigliere comunale Massimiliano De Stefano, che chiede all’Amministrazione di assumere una posizione netta e di attivarsi, insieme a Regione e Governo, per difendere un presidio occupazionale strategico per la città.

Insomma, dietro la parola “riorganizzazione” si nasconde una scelta che rischia di cambiare il volto del lavoro a Ivrea e nell’Astigiano. Una scelta che mette sul tavolo una domanda semplice e brutale: quanto vale oggi il lavoro nei territori? E se davvero, nel 2025, per andare a lavorare bisogna prima poterselo permettere.

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