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16 Dicembre 2025 - 12:09
Ricerca a rischio in Piemonte, 80 cervelli del CNR appesi alla precarietà: “Così perdiamo competenze strategiche”
Il Piemonte rischia di disperdere un patrimonio di competenze scientifiche costruito in anni di lavoro, spesso con risorse pubbliche, proprio mentre la ricerca dovrebbe essere uno dei pilastri dello sviluppo regionale. A lanciare l’allarme è la consigliera regionale del Partito Democratico Laura Pompeo, che il 16 dicembre 2025 ha presentato una mozione per impegnare la Giunta a intervenire presso Governo e Parlamento a sostegno della stabilizzazione del personale precario del CNR.
Il punto di partenza è un dato che pesa come un macigno: oltre il 30% del personale del Consiglio Nazionale delle Ricerche in Italia lavora con contratti a tempo determinato o forme di collaborazione precarie. Una percentuale che si riflette anche sul territorio piemontese, dove almeno 80 tra ricercatrici e ricercatori operano senza prospettive di continuità. Molti di loro sono impiegati su progetti finanziati dal PNRR, destinati a concludersi nel 2026, con il rischio concreto di una fuoriuscita di massa proprio nel momento in cui il sistema produttivo e scientifico avrebbe più bisogno di queste professionalità.
«Il Piemonte non può permettersi di disperdere il patrimonio di competenze e professionalità che anima gli istituti del CNR presenti sul nostro territorio», afferma Pompeo, sottolineando come si tratti di figure altamente qualificate, formate anche grazie a investimenti pubblici, ma costrette a vivere in una condizione di precarietà inaccettabile. Una situazione che, secondo la consigliera, non può più essere affrontata con dichiarazioni di principio. «Le promesse fatte dall’assessore Chiorino nel corso dell’incontro con i ricercatori non bastano. Occorrono certezze e impegni concreti che si traducano in una stabilizzazione definitiva».

La mozione presentata in Consiglio regionale mette nero su bianco una serie di criticità strutturali. Da un lato, la riforma delle tipologie contrattuali nella ricerca, che ha generato nuove incertezze; dall’altro, l’insufficienza delle risorse stanziate nella Legge di Bilancio 2025 per le stabilizzazioni previste dalla Legge Madia. «I 9 milioni previsti dal Governo non bastano nemmeno lontanamente», osserva Pompeo, richiamando le stime sindacali che indicano in almeno 50 milioni di euro il fabbisogno reale per affrontare il problema.
Da qui la richiesta di un cambio di passo nella Legge di Bilancio 2026, con un incremento significativo delle risorse nazionali. L’atto di indirizzo impegna inoltre la Regione a chiedere la proroga oltre il 2026 delle norme che consentono l’assunzione del personale precario negli enti di ricerca, la piena applicazione dell’articolo 12-bis del decreto legislativo 218/2016, che permette la trasformazione di assegni e contratti di ricerca in rapporti a tempo indeterminato, e l’utilizzo di fondi strutturali e ordinari, nazionali e regionali, per garantire continuità occupazionale ed evitare il riprodursi di nuove sacche di precarietà.
Pompeo richiama anche l’esempio di altre Regioni, come Umbria e Calabria, che hanno già approvato atti di indirizzo analoghi. «Il Piemonte non può restare indietro. La ricerca è un bene pubblico e un motore di sviluppo: tutelare chi la rende possibile è un dovere politico e istituzionale», sostiene.
A rafforzare l’urgenza dell’intervento arrivano le parole degli stessi lavoratori precari del CNR, che descrivono una situazione ormai strutturale. «Siamo circa 80 ricercatrici e ricercatori precari, tra RTD, assegnisti e borsisti, a fronte di 155 unità di personale strutturato», spiegano, evidenziando come il CNR in Piemonte faccia affidamento in modo sistematico su personale non stabile per portare avanti attività di ricerca fondamentali.
Un lavoro che non riguarda settori marginali, ma ambiti strategici per il futuro della regione e del Paese: agricoltura, economia sostenibile, transizione ecologica, scienze e tecnologie alimentari, geodinamica e processi geologici del territorio, tecnologie dei materiali, tutela e gestione delle risorse idriche. Campi che alimentano lo sviluppo economico, migliorano la qualità della vita e contribuiscono alla competitività nazionale e internazionale.
«Abbiamo maturato curricula scientifici di alto profilo», sottolineano i ricercatori, ricordando anni di servizio presso CNR e Università, decine di pubblicazioni, abilitazioni all’insegnamento, partecipazioni a convegni, premi internazionali e una rete consolidata di relazioni scientifiche e istituzionali. Un capitale umano che, avvertono, non può essere disperso. «Tutto quanto costruito lungo i nostri percorsi rappresenta un patrimonio che deve essere valorizzato pienamente attraverso inquadramenti professionali adeguati e stabili».
La partita che si apre ora è politica e istituzionale. In gioco non c’è solo il futuro di decine di ricercatori, ma la capacità del Piemonte di restare un territorio attrattivo per la ricerca pubblica e l’innovazione. Senza stabilizzazioni, il rischio è duplice: perdere competenze strategiche e vanificare anni di investimenti. Un lusso che, oggi più che mai, il sistema regionale non può permettersi.
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