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Ivrea, il Carnevale più antico non basta. Il Ministero cambia gioco e dimezza il contributo..

Il Ministero abolisce le fasce di storicità e manda in frantumi i vecchi equilibri: Ivrea guadagna dignità ma resta lontana dai vertici, Santhià precipita da 171mila a 27mila euro e il Bacanal del Gnoco, fino a ieri re incontrastato dei finanziamenti, si ritrova con le tasche vuote. La scoperta del documento del 1246 non basta: ora contano i progetti, non i secoli.

Ivrea, il Carnevale più antico non basta. il Ministero cambia gioco e dimezza il contributo

Ivrea, il Carnevale più antico non basta. il Ministero cambia gioco e dimezza il contributo

Lo scorso anno avevamo raccontato che Ivrea, nella grande lotteria dei contributi ministeriali ai Carnevali storici, faceva la figura della cugina povera arrivata al pranzo di Natale con il panettone scontato del supermercato, mentre altri si sedevano a capotavola con lo champagne in mano. Una fotografia crudele ma fedele: Fano e Santhià che veleggiavano nell’Olimpo dei “più di 600 anni”, Verona che portava a casa quasi 300mila euro, e Ivrea giù nel mare magnum della fascia 25-499 anni, confinata con Viareggio e Venezia ma con meno fondi di tutti. Era stato un mezzo shock, anche perché qui, da secoli, siamo abituati a pensare di essere al centro del mondo (almeno nei tre giorni del Carnevale).

Da quella scintilla era nata una delle discussioni più epiche, surreali e divertenti della storia recente eporediese. Un dibattito che aveva visto storici, ex storici, aspiranti storici e storici improvvisati litigare come se in gioco ci fosse il destino dell’Occidente, e non un finanziamento ministeriale. Nel frattempo noi, dalle pagine de La Voce, avevamo continuato a martellare: possibile che il Carnevale di Ivrea, con tutta la sua liturgia, la sua epicità, il suo folklore sanguigno, fosse davvero meno antico di altri? Possibile che un rito che sembra uscito dalla penna di un cronista del medioevo fosse ufficialmente considerato una tradizione ottocentesca solo perché i verbali iniziano nel 1808?

E poi, all’improvviso, accade l’impensabile. Gli storici Danilo Zaia, Franco Quaccia e Gabriella Gianotti, chiamati in causa dalla Fondazione dello storico carnevale dopo mesi di pressioni politiche, giornalistiche e cittadine, tirano fuori un documento del 1246. Non un bigliettino, non un appunto, non un “si dice”: un contratto autentico, in cui si parlava di lavori da terminare “ad carnis levamen” — entro Carnevale. E allora si scopre che a Ivrea si chiamava Carnevale quasi ottocento anni fa, mentre buona parte dei Carnevali italiani dell’epoca stavano ancora cercando di capire la differenza tra un carro allegorico e un carro agricolo. Una scoperta da prima pagina e da prima serata, la rivincita degli eporediesi, la conferma definitiva che no, non eravamo figli dell’Ottocento. Eravamo figli del Medioevo. E come spesso capita, siamo stati noi stessi a dimenticarlo.

Con questa nuova consapevolezza la città inizia a muoversi come un sol uomo: la Regione Piemonte — anche in seguito a un’interrogazione del consigliere Alberto Avetta — aumenta il proprio contributo da 16.941 a 75.000 euro. I consiglieri comunali infilano mozioni a raffica. Noi continuiamo a fare la voce grossa, nella speranza che qualcuno, a Roma, legga.

Sembrava che la strada fosse tracciata: il Carnevale più antico d’Italia merita il contributo più alto d’Italia. O almeno un segnale.

Oggi arriva il Verbale n.1/2025 della Commissione di valutazione dei carnevali storici istituita presso il Ministero della Cultura. Ed ecco la sorpresa — di quelle che lasciano il sapore dell’arancia amara in bocca. Il Ministero ha cambiato sistema: scompaiono le fasce di storicità. Addio ai 600 anni, ai 500 anni, ai 499 anni. Da quest’anno si gioca tutti assieme, senza distinzioni, senza privilegi, senza medaglie d’anzianità. Una sorta di “Carnevale democratico”, dove chi ha otto secoli di storia vale quanto chi ne ha due, o uno, o mezzo.

E qui arriva il dettaglio gustoso: c’è chi sperava di guadagnarci — e c’è chi ha sbattuto il muso contro la realtà. Santhià e il “Bacanal del Gnoco”, fino a ieri in orbita geostazionaria con contributi da capogiro grazie alla comoda etichetta dei “seicento anni”, con il nuovo sistema precipitano come meteoriti. Santhià, che l’anno scorso si era portata a casa la bellezza di 171 mila euro, oggi deve accontentarsi di 27 mila: un risultato che, per chi era abituato a navigare con il vento in poppa, vale come un’onda anomala contro la barca. E il Bacanal del Gnoco? Quello che sfiorava i 291 mila euro? Oggi ne prende zero, perché nel nuovo sistema — via le fasce, via i bonus storici — la proposta progettuale è stata giudicata insufficiente. Un tonfo fragoroso. Una di quelle mazzate che riscrivono il senso della parola “ridimensionamento”.

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I criteri — spiegati nel verbale — sono sette, uno più “creativo” dell’altro: rilevanza storica, sì, ma anche qualità artistica della proposta progettuale, identità e riconoscibilità, attrattività turistica, attività collaterali, congruità economica e capacità di coinvolgere l’artigianato locale. Sette criteri che, letti così, fanno pensare a un concorso di idee, non a una valutazione di tradizioni storiche. Un po’ come dire: “Sì, sei il più antico d’Italia, ma il tuo piano di comunicazione non ci ha convinti”.

Ivrea, naturalmente, prende 20 su 20 sulla storicità — ci mancava solo che ci avessero dato 19 “perché potevate provarlo meglio”. Ma poi scende. Dieci punti su venti sulla qualità della proposta progettuale. Dodici su quindici sulla riconoscibilità. Tre su cinque sulle attività collaterali. Sei su dieci sulla valorizzazione dell’artigianato locale. E mentre i numeri scendono, la domanda cresce: come è possibile che un Carnevale che ferma una città, che riempie piazze, che attira media nazionali e internazionali, che genera economia come pochi altri, finisca con gli stessi voti di Comuni che nemmeno Google Maps conosce?

Sarà mica che la Fondazione ha partecipato al bando ma non è stata in grado di spiegare bene chi è, che cosa fa, dove vuole andare?

Alla fine Ivrea si ferma a 75 punti, diciassettesima, superata da Ronciglione, Satriano di Lucania, Frosinone, Sanremo, Follonica, Palma di Campania, San Giovanni in Persiceto, Misterbianco e Avola... Insomma un tonfo... Sul podio ci sono Putignano e Viareggio con 96, ma anche Oristano. Pochissimo più sotto, Santhià, con 82.

Il risultato economico è una diretta conseguenza: 25.258,19 euro (e lo scorso anno ne avevi presi di più: 57.171). Santhià, come detto, ne prende oltre 27mila, ma l’anno scorso ne aveva portati a casa 171 mila. E poi Fano, più di 30 mila. Mamoiada e Oristano, 32mila. Putignano e Viareggio 32.330 euro.

Ed è qui che l’ironia si trasforma in amara consapevolezza. La storia non basta più. Non basta avere otto secoli di tradizione, non basta avere un documento del 1246, non basta avere un popolo che vive il Carnevale come un rito collettivo identitario. Non basta nemmeno aver riscritto, davanti all’Italia, la genealogia della festa. Il Ministero sembra dire: “Ok, siete antichi. Ma fateci vedere qualcosa di più brillante, più moderno, più progettuale”. È un po’ come se un professore dicesse allo studente più preparato della classe: “Sei bravissimo in storia, ma nell’esposizione sei noioso. Ti do sette”.

Insomma, dopo mesi di lavoro, di studi, di pressioni politiche e istituzionali, dopo la scoperta medievale del secolo, dopo le mozioni, gli articoli, le battaglie dialettiche, le aspettative, le attese, Roma risponde con un buffetto sulla guancia. Non male, ma non benissimo. Un “bravo, ma puoi fare di più”.

E allora la domanda è inevitabile: abbiamo dimostrato di essere i più antichi. Bene. Adesso dobbiamo dimostrare di essere anche i più convincenti. Perché nel nuovo campionato ministeriale non vince chi ha più secoli, ma chi presenta il progetto migliore. E qui, con buona pace del Medioevo, siamo nel 2025. E nel 2025, la storia, da sola, non paga più.

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