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25 Novembre 2025 - 14:28
Sciopero dei lavoratori del cinema, il movimento “Siamo a titoli di coda” contro salari bassi e tutele inesistenti
Il settore del cinema e dell’audiovisivo torna a farsi sentire, e questa volta lo fa con un messaggio che non ammette più mediazioni. Il movimento #siamoatitolidicoda, che riunisce una larga fetta dei lavoratori delle troupe italiane, annuncia uno sciopero generale di due giorni — venerdì 28 e sabato 29 novembre — per denunciare pubblicamente ciò che definisce un sistema ormai “insostenibile”, fatto di precarietà cronica, salari spesso insufficienti e tutele giudicate del tutto inadeguate. È una mobilitazione che non arriva all’improvviso, ma che nasce da anni di malessere stratificato e da una condizione che i lavoratori definiscono apertamente «sfruttamento».
La nota diffusa dal movimento, diretta a tecnici, maestranze, operatori e professionisti di ogni reparto, utilizza parole nette: «È giunto il momento di alzare la voce». La protesta parte dal basso, senza logiche di categoria e senza la convinzione — dichiarata — che si possa davvero ottenere un’unità totale nel settore. Ma il punto, spiegano, non è l’unanimità bensì la necessità di «rompere gli schemi» e denunciare un sistema che avrebbe lasciato le troupe senza strumenti di protezione, in un mercato che continua a produrre e distribuire, mentre chi lavora dietro le quinte resta spesso invisibile.
Nel documento del movimento, l’accusa principale riguarda la mancanza di welfare, l’assenza di tutele di base e il progressivo crollo delle condizioni di lavoro, specialmente nei set più complessi. A questo si aggiunge la denuncia di stipendi insufficienti, aggravati — secondo i lavoratori — da una “manovra finanziaria di guerra” che peggiora ulteriormente il quadro. I riferimenti riguardano la parte della legge di bilancio che impatta sul comparto culturale e sui meccanismi di sostegno al lavoro discontinuo, uno dei nodi più critici per chi opera nel cinema.

Al centro del malcontento c’è anche il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle troupe, un testo che — ricordano — non viene rinnovato da oltre venticinque anni, lasciando di fatto le condizioni contrattuali ancorate a un mondo produttivo completamente diverso da quello di oggi. Un’altra accusa viene rivolta alle rappresentanze sindacali, giudicate “inefficaci” nel tutelare i lavoratori in una fase in cui la produzione audiovisiva continua a crescere ma la distribuzione della ricchezza, dicono, resta sbilanciata verso pochi soggetti. A pagarne il prezzo, secondo il movimento, sono proprio i tecnici, gli addetti ai reparti, i professionisti che fanno funzionare set, teatri di posa e produzioni esterne.
La scelta dello sciopero è descritta come una decisione inevitabile, nata dalla frustrazione per condizioni definite «disumane» su alcuni set e dalla consapevolezza, si legge, che «non siamo più disposti a lavorare così per garantire profitti a pochi». Da qui, l’appello finale: lasciare spente le macchine da presa, fermare le luci, sospendere ogni attività nei teatri e nelle produzioni in corso. Un gesto simbolico ma anche concretissimo, che mira a dare visibilità a una categoria tradizionalmente silenziosa, invisibile persino nel dibattito culturale che pure la riguarda da vicino.
Il movimento rivendica la dignità del proprio lavoro in un settore che, dietro alla facciata dell’intrattenimento e delle grandi produzioni, vive di professionalità tecniche fondamentali. L’obiettivo è mettere al centro del discorso pubblico la realtà quotidiana di chi costruisce film, serie e documentari senza comparire nei credits principali, ma reggendo — letteralmente — l’intera impalcatura del prodotto audiovisivo moderno. Non è un caso che lo slogan scelto sia «venite tutti ai titoli di coda», un invito a riconoscere il valore di chi lavora lontano dai riflettori ma dentro ogni fase del processo creativo.
La protesta del 28 e 29 novembre arriva in un momento in cui il settore vive un equilibrio delicato, tra crisi strutturale, tagli ai fondi e riforme contestate. Ma soprattutto segnala una rottura di tono: per la prima volta dopo anni, la componente tecnica del cinema italiano sceglie lo sciopero come strumento di pressione, dichiarando che la misura è colma. Non è ancora chiaro quante produzioni aderiranno e quali saranno gli effetti immediati sul calendario delle riprese, ma un segnale — forte, pubblico e condiviso — è già arrivato.
Il movimento lo definisce «un atto necessario». Il resto lo diranno le prossime 48 ore, in cui a fermarsi non saranno solo luci, camere e set, ma un intero sistema che, almeno per due giorni, sarà costretto a guardare ciò che troppo a lungo ha evitato di vedere: la fragilità di chi ogni giorno costruisce l’industria dell’immagine.
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