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Tre presidenti nuovi, un’Italia assente: l’astensionismo resta il primo partito del Paese

Dati crollati ovunque e votanti sotto il 50%: un terremoto che vale più del 3 a 3 tra le coalizioni

Il vero vincitore delle elezioni resta l'astensionismo

Il vero vincitore delle elezioni resta l'astensionismo

Il mid term politico dell’autunno si chiude senza sorprese sul fronte delle coalizioni, ma con uno squilibrio evidente che il centrodestra non può ignorare: le urne confermano Alberto Stefani in Veneto, Roberto Fico in Campania e Antonio Decaro in Puglia, ma il voto diventa un terremoto sugli equilibri nazionali e sulle regole del gioco. Tanto che l’affondo arriva subito, netto, da Matteo Renzi, che sintetizza come un presagio ciò che la maggioranza inizia a temere: «Da domani Giorgia Meloni proverà a cambiare la legge elettorale perché ha capito che il centrosinistra unito può vincere le politiche e contenderle la premiership».

Il centrodestra ribatte, ma non smentisce il nervosismo. Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, abbraccia l’idea di una riforma come garanzia di governabilità: «Non ci sono dogmi ma crediamo che serva una nuova legge elettorale per assicurare stabilità». La risposta di Elly Schlein è un colpo diretto: «La destra ha paura di perdere: con la coalizione che abbiamo costruito oggi, nel 2022 non avrebbero vinto e perderebbero nel 2027. Meloni ha ben poco da saltare».

Intanto, l’astensionismo segna un altro record negativo: rispetto alle precedenti regionali si registra un crollo di 14 punti percentuali, con meno della metà dei 13 milioni di elettori alle urne. Un dato che attraversa tutte le regioni e mette in difficoltà chi avrebbe voluto leggere questo voto come un segnale solido sul clima politico nazionale.

In Veneto, Alberto Stefani chiude al 65%, trascinato da un Luca Zaia che si conferma capace di orientare in massa il voto: il governatore uscente, capolista ovunque, permette alla Lega di infliggere a Fratelli d’Italia la sconfitta più simbolica della giornata. Il Carroccio doppia FdI, ribaltando per intero la previsione di un derby interno. Per Matteo Salvini, che esulta dicendo «Risultato oltre ogni previsione, mi davano per morto», è un ritorno all’incasso politico. Per Meloni, invece, è uno smacco che la premier maschera con un commento istituzionale: «Una vittoria frutto del lavoro, della credibilità e della serietà della nostra coalizione».

A sorpresa entra in consiglio regionale il medico no vax Riccardo Szumski, oltre il 6%, con punte eccezionali nella sua Conegliano.

In Campania, l’unità del campo largo funziona. Gli elettori seguono l’appello «testardamente unitario» di Schlein, e consegnano a Roberto Fico un risultato enorme: oltre il 60%, contro un Edmondo Cirielli che si ferma alla metà. La promessa di condono edilizio e i comizi uniti dei leader di centrodestra non bastano. La segretaria Pd rivendica la scelta: «L’alternativa c’è, uniti possiamo battere le destre». L’ex presidente della Camera vola alto: «Grazie ai campani per la scelta netta che ci riempie di responsabilità. Sarò il presidente di tutti».

Dal fronte opposto, Donzelli prova a ridimensionare il successo: «Non so cosa abbiano da festeggiare, hanno perso 20 punti: sommando i voti di Vincenzo De Luca e quelli del M5s erano quasi all’80 per cento». Ma il verdetto resta evidente.

In Puglia, Antonio Decaro chiude una delle campagne più sorprendenti degli ultimi anni. Da candidato solitario alle europee, dove raccolse 500 mila preferenze, a governatore con il 65%, raddoppiando il voto del suo avversario Luigi Lobuono. Il suo victory speech mette in fila gratitudine e programmazione: «Grazie a Elly che ha insistito per convincermi a candidarmi. Ho sentito tutti i leader della coalizione. Io non voglio essere un duro, non voglio fare politica su un ring, rivendico le mie fragilità. Con il governo voglio collaborare».

Il risultato pugliese consolida il ruolo del Pd, rafforzato anche dal successo della lista “Decaro presidente”, mentre il M5s resta più indietro rispetto al 2020 e alle europee. Nel frattempo Nichi Vendola e Michele Emiliano salutano la vittoria del nuovo presidente, che supera anche le percentuali del 2020.

Il quadro nazionale si chiude con un “pareggio” tra coalizioni — tre regioni a testa, o quattro a tre aggiungendo la Val d’Aosta, come nota Antonio Tajani — ma il vero dato politico è un altro: il campo largo appare competitivo nelle regioni decisive per i collegi, mentre il centrodestra perde terreno sia al Sud sia nella battaglia interna tra Lega e Fratelli d’Italia.

Per questo, l’ansia sulla legge elettorale cresce. I risultati aprono una crepa che potrebbe diventare voragine a Palazzo Madama nel 2027. E la pressione a cambiare le regole del voto sarà, da domani, inevitabilmente al centro del confronto politico.

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