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Trapianto record alle Molinette: cuore vola da Atene a Torino e salva un uomo di 65 anni

Il cuore della donatrice greca è rimasto battente per 8 ore, dal prelievo all’impianto

Trapianto record alle Molinette: cuore vola da Atene a Torino e salva un uomo di 65 anni

Trapianto record alle Molinette: cuore vola da Atene a Torino e salva un uomo di 65 anni

A Torino, nel quarantesimo anniversario del primo trapianto di cuore italiano, succede qualcosa che fino a ieri sembrava confinato ai congressi di futuristica medicina. Un cuore arriva da Atene, percorre 1.600 chilometri, viene tenuto in vita dalla tecnologia durante tutto il viaggio e poi viene impiantato senza mai smettere di battere, neppure per un secondo. È accaduto alle Molinette della Città della Salute e della Scienza, dove un’équipe di cardiochirurghi ha portato a termine un intervento che apre un nuovo fronte nella trapiantologia: non più organi trasportati “a freddo”, con il cronometro che corre e l’ombra dell’ischemia che incombe, ma organi mantenuti in attività dall’inizio alla fine dell’operazione. Una rivoluzione dal sapore molto concreto.

La storia comincia ad Atene, dove una donna viene individuata come possibile donatrice dal Centro Nazionale Trapianti, guidato da Giuseppe Feltrin, e dal Centro Regionale Trapianti del Piemonte, diretto da Federico Genzano Besso. La segnalazione arriva al Centro Trapianto di Cuore della Città della Salute, che fa scattare la macchina organizzativa. Nel tardo pomeriggio una squadra composta dalla dottoressa Erika Simonato, dal dottor Matteo Marro, dal professor Andrea Costamagna e dalla dottoressa Domitilla Di Lorenzo decolla da Torino su un jet privato diretto in Grecia.

A mezzanotte scatta il momento cruciale: il prelievo. Il cuore viene delicatamente rimosso e subito alloggiato nell’OCS Heart della Transmedics, una sorta di “incubatrice avanzata” in grado di ripristinare e mantenere la perfusione dell’organo. Non si tratta di un semplice contenitore refrigerato, ma di una tecnologia che permette al cuore di continuare a battere come se fosse ancora nel torace della donatrice. Ed è ad Atene, pochi minuti dopo il prelievo, che il cuore riparte. Intatto, funzionante, vivo. E da quel momento non si fermerà più.

L'equipe medica dell'ospedale

Il trasporto verso Torino segna un altro passaggio simbolico: il cuore attraversa l’Europa battendo, mantenuto in circolo per tutto il trasferimento. Mentre l’aereo vola verso il Piemonte, nelle sale operatorie delle Molinette un uomo di 65 anni, affetto da cardiomiopatia dilatativa post-infartuale, viene preparato dai cardiochirurghi. Aspettava un trapianto da un anno, un’attesa fatta di bilanci clinici, incertezze e qualche speranza trattenuta. Ora è lì, in circolazione extracorporea, pronto a ricevere un cuore che vibra nel suo involucro tecnologico come se non avesse mai lasciato il corpo della donatrice.

Dopo sei ore di viaggio, l’organo arriva in sala operatoria. Di solito, in questo momento il cuore destinato al trapianto viene fermato artificialmente, protetto dal freddo e collegato alla circolazione extracorporea solo dopo essere stato suturato nel torace del ricevente. Stavolta no. Stavolta i chirurghi scelgono di non interrompere il battito. È qui che la procedura cambia pelle e diventa pionieristica. Il cuore viene collegato direttamente al sistema extracorporeo che sta mantenendo in vita il paziente. Continua la sua danza meccanica, ora sorretto dalle mani dei chirurghi che devono muoversi con attenzione millimetrica per non ostacolare ritmo e perfusione.

L’intervento, guidato dal professor Massimo Boffini, dal professor Antonino Loforte e dalla dottoressa Barbara Parrella, con l’anestesista Rosetta Lobreglio a governare l’equilibrio clinico del paziente, procede come un lavoro di alta oreficeria. Il cuore viene staccato dalla macchina di perfusione senza che la circolazione si interrompa, poi guidato verso il suo nuovo posto nel cavo pericardico. Prima poggia sulle mani dei chirurghi, poi trova la sua sede anatomica. Non c’è il momento solenne del “riavvio”, il gesto che di solito segna l’inizio della nuova vita del ricevente. Qui il cuore ha continuato a fare il suo mestiere, come se nulla fosse. La sutura dei vasi avviene mentre l’organo pulsa, una coreografia chirurgica che fino a ieri appariva proibitiva.

Nel giro di poche ore, il paziente viene trasferito in Terapia Intensiva, coordinata dalla dottoressa Anna Trompeo, e il decorso procede senza complicazioni. Dopo alcuni giorni arriva il passaggio verso la degenza ordinaria. Non c’è enfasi, non c’è retorica: c’è la concretezza di un intervento riuscito e di un paziente che torna a respirare un futuro più largo.

La portata dell’operazione, però, supera il caso singolo. Questa procedura annulla il problema dell’ischemia prolungata, il limite storico del trapianto di cuore. Tenere l’organo battente dal prelievo all’impianto permette di superare la soglia delle quattro ore che finora rappresentava il massimo margine di sicurezza. Significa aprire anche ai donatori molto lontani. Significa allargare le possibilità per chi è in lista d’attesa. Significa immaginare scenari nuovi e prima irraggiungibili.

Il Direttore generale della Città della Salute, Livio Tranchida, sottolinea proprio questo punto: «La bravura dei nostri professionisti ha reso possibile un intervento che apre una nuova frontiera nei trapianti di cuore. Un esempio delle eccellenze della nostra Città della Salute e del valore dei nostri operatori», dice. Parole che riflettono non solo l’eccezionalità del gesto tecnico, ma anche la complessità organizzativa che un intervento simile richiede.

L’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi, aggiunge un altro tassello: «Il Sistema Trapianti del Piemonte si conferma ai vertici italiani ed europei con un trapianto di cuore di eccezionale difficoltà tecnico-organizzativa. Un’ulteriore conferma del ruolo della Città della Salute come IRCCS Trapianti». È una rivendicazione politica, certo, ma è anche l’indicazione di un livello ormai consolidato in quegli ambienti dove competenza, tempi rapidi e coordinamento fanno la differenza tra un intervento possibile e uno fallito.

Resta il dato scientifico, forse il più forte: un cuore può essere prelevato, mantenuto attivo, trasportato per ore, impiantato senza mai fermarsi. Un cambio di paradigma che avvicina la chirurgia all’immagine — molto meno romantica e molto più tecnica — di un organo che rimane sempre vivo, sempre perfuso, sempre funzionante. Un modello che riduce i rischi e amplia le possibilità. E che, da questo momento in poi, entra ufficialmente nelle frontiere della trapiantologia moderna.

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