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Distrutto il mezzo per il trasporto dei disabili in un incidente, la Croce Bianca chiede aiuto

L’associazione lancia una raccolta fondi per sostituire il veicolo attrezzato

Un mezzo in meno, un bisogno in più: l’appello della Croce Bianca di Volpiano dopo il grave incidente

Distrutto il mezzo per il trasporto dei disabili in un incidente, la Croce Bianca chiede aiuto

La Croce Bianca Volpianese si è ritrovata all’improvviso senza il suo mezzo più prezioso: un Fiat Doblò attrezzato per il trasporto di persone con disabilità, distrutto in un incidente stradale che ha fermato dall’oggi al domani uno dei servizi più delicati dell’associazione. Il fatto in sé è semplice: un impatto violento, un attimo di paura, l’autista e la paziente che ne escono illesi ma scossi. Il mezzo, invece, no. E in quell’ammasso di lamiera c’è qualcosa che va oltre un danno materiale: c’è la frattura di un equilibrio quotidiano fatto di visite, terapie, riabilitazioni, piccole normalità che per molti sono tutto tranne che scontate.

Il Doblò non era un veicolo come gli altri. Chi lavora nel volontariato lo sa: certi mezzi diventano estensioni della missione, strumenti di vita più che di trasporto. Quel tetto alto, quella pedana per le carrozzine, quegli ancoraggi regolati mille volte, sempre con un occhio alla sicurezza e uno al rispetto della persona trasportata… tutto questo rappresentava molto più di un automezzo. Rappresentava libertà, autonomia, dignità. Una dignità fragile, faticosa, spesso dipendente da un passaggio che non arriva, da un servizio che non c’è, da una rete che si regge sulla buona volontà di chi dedica ore, giorni, anni a tenere insieme ciò che altrove si dà per scontato.

Ecco perché i volontari parlano di un colpo durissimo. Non per la meccanica in sé, non per la spesa – che pure sarà alta –, ma perché si interrompe una linea di continuità che per molti è una lifeline, un filo che permette di uscire di casa, raggiungere un reparto ospedaliero, sedersi alla poltrona della fisioterapia, tornare a una socialità possibile. Senza quel mezzo, la Croce Bianca non può garantire ciò che per molti è l’unico ponte con il mondo esterno. E quando questa catena si inceppa, a restare bloccati sono i più fragili.

Nei giorni successivi all’incidente, tra i volontari non ha prevalso solo lo sconforto. Ha prevalso una domanda semplice e spiazzante: “Come ripartiamo subito?” Non un “se”, ma un “come”. Perché chi fa volontariato nel trasporto sanitario vive in prima persona la sproporzione tra bisogno e risorse, e sa che ogni pausa è una rinuncia fatta da qualcun altro, spesso da chi non ha altra scelta che affidarsi.

Da qui nasce la decisione di aprire una raccolta fondi su GoFundMe, con un obiettivo chiaro: acquistare un nuovo Doblò (o equivalente) dotato di pedana per carrozzine, ancoraggi di sicurezza, allestimenti specifici per il trasporto di persone con ridotta mobilità. Una scelta quasi obbligata, perché un mezzo così non si trova come un’utilitaria usata, non si compra sull’onda di un’offerta: si progetta, si configura, si adatta. E costa. Molto. Troppo per un’associazione che vive di volontariato, quote, sostegni della comunità.

Ma la Croce Bianca Volpianese ha deciso di metterci la faccia, chiedendo ai cittadini quello che spesso non si ha il coraggio di chiedere: aiutateci a ripartire. Lo fanno senza retorica, senza toni da campagna emotiva, senza quei slogan che trasformano la solidarietà in spot. Lo fanno da volontari abituati a vedere la fragilità da vicino, senza filtri, e a trasformare ogni viaggio in carrozzina in un piccolo esercizio di fiducia reciproca.

Ogni giorno quel mezzo trasportava persone che hanno imparato a convivere con la dipendenza da un supporto esterno. Persone che, senza un veicolo attrezzato, non possono “arrangiarsi”. La retorica del “ce la si fa comunque” non vale quando si parla di disabilità motorie, di dialisi, di terapie salvavita, di pazienti che non possono essere sollevati, spostati, caricati su un’auto normale. In questi casi, o c’è un mezzo attrezzato, o non c’è possibilità di spostamento. Non ci sono alternative. Non ci sono scorciatoie. E non c’è welfare territoriale che possa improvvisare un servizio simile dall’oggi al domani.

È proprio questa realtà a rendere l’incidente ancora più pesante: non è solo una perdita logistica, è un’interruzione di un diritto di fatto, quello alla mobilità. In un Paese che proclama l’inclusione nei convegni, ma poi lascia alle associazioni di volontariato il compito di colmare vuoti enormi, la distruzione di un mezzo così è una ferita collettiva.

La raccolta fondi nasce dunque come risposta immediata, ma anche come atto politico – nel senso più alto del termine: assumersi insieme la responsabilità di ciò che altrimenti ricadrebbe su chi non può sopportarlo. La Croce Bianca promette trasparenza totale: ogni euro raccolto servirà all’acquisto del nuovo veicolo, all’allestimento, alle procedure di immatricolazione e assicurazione. Niente fronzoli, niente spese accessorie. L’obiettivo è riportare in strada non un furgone, ma un servizio essenziale.

I volontari raccontano che perdere questo mezzo è stato come “vedere andare in pezzi un pezzo del nostro impegno”. E non è un’esagerazione. Chi conosce il mondo del volontariato sanitario sa che l’impegno non è un concetto astratto: è fatto di sveglie all’alba, turni imprevisti, pazienti che conosci per nome, storie che ti entrano in testa anche quando non vuoi, famiglie che ringraziano e, a volte, famiglie che non sanno come fare senza di te. È fatto di giornate passate a incastrare accompagnamenti, emergenze, richieste dell’ultimo minuto. È fatto di mani che sollevano carrozzine, di rampe da fissare, di cinture da controllare, di un’attenzione che non si insegna nei manuali. Un mezzo in meno non significa solo un mezzo in meno: significa un tratto di comunità che si assottiglia.

Eppure, dentro questo quadro duro, la Croce Bianca ha scelto una via che non è di vittimismo ma di responsabilità: ripartire. Ripartire chiedendo aiuto, che forse è la forma più concreta di umiltà civile. Ripartire sapendo che ogni donazione – piccola o grande – è un mattone simbolico per ricostruire un servizio che non dovrebbe mai fermarsi. Ripartire con la consapevolezza che quella pedana che sale e scende non è un gesto meccanico, ma un atto di inclusione quotidiana.

Volpiano, e i comuni vicini, lo sanno bene: quando un pezzo della rete di volontariato si spezza, non si può far finta di niente. Non si può delegare a qualcun altro. Non si può pensare che “qualcuno ci penserà”. La solidarietà territoriale funziona solo se ciascuno fa la sua parte, anche minima. E forse questa vicenda serve anche a ricordare che la fragilità è un cerchio: oggi tocca a qualcuno, domani potrebbe toccare a chiunque.

Il nuovo mezzo, se la raccolta andrà bene, tornerà a percorrere quelle strade che uniscono case, ambulatori, ospedali, centri associativi. Tornerà a essere quel ponte discreto tra il dentro e il fuori, tra la dipendenza e la possibilità, tra la difficoltà e la quotidianità. Tornerà, soprattutto, a riconsegnare un frammento di libertà a chi non può muoversi senza una mano.

E in fondo la storia è proprio questa: un incidente che ferma un servizio, una comunità che prova a rimetterlo in moto. Nessun eroismo, nessuna retorica, nessun racconto epico. Solo persone che fanno ciò che serve. E che adesso chiedono aiuto perché da soli non basta.

Ripartire è possibile. Ma per farlo serve un mezzo. E quel mezzo può tornare in strada solo se a Volpiano – e non solo – qualcuno deciderà che questa storia non riguarda “gli altri”, ma riguarda tutti.

Perché rimettere in strada un Doblò può sembrare una piccola cosa. Ma per chi aspetta quel passaggio, è la differenza tra isolamento e vita.

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