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La ricerca UniTo che svela la connessione tra abusi domestici e tentativi di suicidio

La ricerca mostra come la violenza comprometta identità, fiducia e capacità di chiedere aiuto

La ricerca UniTo che svela la connessione tra abusi domestici e tentativi di suicidio

La ricerca UniTo che svela la connessione tra abusi domestici e tentativi di suicidio (foto di repertorio)

La violenza nelle relazioni intime non si limita a ferire, controllare, intimidire. Può spingere fino all’estremo. È quanto emerge da un lavoro scientifico dell’Università di Torino, che analizza il legame tra intimate partner violence e comportamenti suicidari nelle donne soccorse dopo un tentativo di togliersi la vita. Una connessione netta, documentata e ripetuta in più Paesi del mondo, che sposta l’attenzione non solo sulle responsabilità della violenza, ma anche sul ruolo che può avere la sanità nel riconoscerla quando è ancora sommersa.

La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Trauma, Violence & Abuse, è stata condotta dal gruppo coordinato da Georgia Zara, docente del Dipartimento di Giurisprudenza e vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, insieme a Paola Torrioni, del Dipartimento di Culture, Politica e Società, e Agata Benfante, assegnista di ricerca al Dipartimento di Psicologia. Il team ha analizzato 22 studi realizzati tra il 1995 e il 2023 in diversi contesti nazionali, tutti con un focus preciso: capire come la violenza agita dal partner possa influenzare l’ideazione suicidaria e i tentativi di suicidio nelle donne ricoverate in pronto soccorso.

Il quadro che emerge è inequivocabile. Le donne che subiscono violenza domestica – fisica, psicologica, sessuale, emotiva o economica – presentano una probabilità molto più alta di sviluppare comportamenti autolesivi. Non si tratta di un esito “indiretto”: la violenza intacca progressivamente identità, autostima, percezione di efficacia personale. Sottrae alternative. Isola. Logora. E in alcuni casi trascina verso l’unica via che sembra restare.

Un nodo particolarmente critico riguarda il pronto soccorso, luogo dove molte donne arrivano dopo un tentativo di suicidio. Qui, però, la violenza subita spesso non viene individuata. Si cura la ferita, si stabilizza la paziente, si procede alle dimissioni. Il contesto che l’ha portata al gesto rimane sullo sfondo, non identificato, non trattato. Questo aumenta il rischio che la donna torni esattamente nella stessa dinamica che l’ha schiacciata, alimentando un circolo che può ripetersi.

Secondo i ricercatori, il pronto soccorso può e deve diventare un punto di intercettazione decisivo, un luogo dove la sofferenza causata dalla violenza viene ascoltata, riconosciuta e inserita in un percorso di protezione e intervento. La prevenzione inizia dal far emergere ciò che è invisibile: la violenza che spesso resta confinata dietro le mura domestiche, nelle relazioni di dipendenza, nei contesti dove il controllo si sostituisce all’affetto.

Il lavoro dell’Università di Torino non descrive un fenomeno astratto. Fornisce strumenti per riconoscere un rischio reale, documentato e troppo spesso ignorato. E mette in luce, ancora una volta, che la violenza nelle relazioni intime non è un episodio: è un processo distruttivo, che può trasformarsi in una minaccia letale se non viene intercettato per tempo.

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