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20 Novembre 2025 - 14:18
Caso “Mia Moglie”: tra gli amministratori del gruppo facebook spunta anche una donna
Il caso esploso in piena estate sembrava l’ennesima deriva maschilista online: un gruppo Facebook dove migliaia di uomini condividevano immagini private delle proprie compagne, spesso scattate di nascosto, sempre pubblicate senza alcun permesso. E invece, dietro quell’account chiamato “Mia Moglie”, gli inquirenti avrebbero trovato qualcosa di più contorto: secondo la procura di Roma, riportano fonti investigative, a gestire il profilo non sarebbe stato solo un uomo, ma anche una donna, oggi indagata per la diffusione illecita di materiale sessualmente esplicito. Un elemento che non assolve nessuno: semmai mostra quanto queste comunità tossiche sappiano mimetizzarsi e moltiplicarsi.
La polizia postale, analizzando telefoni e sim intestati a soggetti estranei, ha ricostruito un meccanismo pensato per schermare le identità dei due amministratori. Il loro compito era semplice e inquietante: scegliere, moderare, incentivare la pubblicazione delle immagini. Un lavoro quotidiano, fatto di accessi continui e un flusso costante di contenuti che trasformava l’intimità di decine di donne in merce da esporre, oggetto di commenti osceni, fantasie violente, sfottò da camerata digitale.
L’indagine nasce il 19 agosto, quando gli investigatori si imbattono nel gruppo Facebook, un contenitore con oltre 32mila iscritti. Dentro c’è di tutto: foto scattate in salotto, sulla spiaggia, nel parcheggio del supermercato; immagini rubate da chat private o prese con il telefono mentre la compagna era distratta; video intimi divulgati senza che le dirette interessate ne sapessero nulla. Tra gli iscritti compaiono profili di ogni tipo: lavoratori, militari, disoccupati, persino ex politici. Un teatro di complicità maschile che si dissolve solo quando la notizia arriva sui media: allora parte il fuggi fuggi, gli account spariscono, gli utenti migrano verso altri canali.
Per molte vittime la scoperta è stata un colpo improvviso. Donne sposate da anni che riconoscono un dettaglio, un costume, un angolo di casa: e capiscono che quel frammento di vita quotidiana è passato di mano in mano come un trofeo. Alcune parlano apertamente di tradimento, altre avviano consulti legali. Qualcuna valuta una class action, esasperata da quella che definisce una “violenza familiare rovesciata”: non la minaccia dall’esterno, ma dall’interno.
Le indagini, però, non si fermano al gruppo Facebook, chiuso a fine agosto. C’è un altro filone, ancora più vasto: il forum “Phica”, online dal 2005, 700mila iscritti, centinaia di migliaia di accessi al giorno. Un archivio smisurato, dove gli investigatori avrebbero trovato migliaia di immagini sottratte da profili privati, discussioni che normalizzano la misoginia, inviti espliciti alla violenza. Un ecosistema parallelo, capace di resistere per quasi vent’anni senza che nessuno lo scalfisse davvero.
L’eventuale coinvolgimento di una donna nella gestione di “Mia Moglie” non ridisegna la natura del fenomeno: la pornografia non consensuale resta un atto di dominio, una forma di controllo che usa il corpo femminile come campo di battaglia. Semmai apre domande più profonde su quanto queste dinamiche siano sedimentate, quanto ci sia ancora da capire sulle relazioni di potere, sulle alleanze distorte che alimentano queste piattaforme. Perché dietro la retorica del “solo goliardia” si nasconde una violenza capace di attraversare generi, confini e ruoli sociali. E di trasformare la quotidianità di molte donne in una esposizione permanente, senza che neanche se ne accorgano.
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