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20 Novembre 2025 - 19:18
Senza negozi la città perde valore, case giù del 16%
Le città italiane si stanno svuotando, e non solo di persone. A sparire sono soprattutto i negozi di prossimità, gli esercizi commerciali che per decenni hanno definito identità, servizi e vivibilità dei quartieri. A denunciarlo è Confcommercio, che all’evento “InCittà”, in corso a Bologna, mette nero su bianco un dato che pesa più di tanti discorsi: quando un quartiere perde i suoi negozi, perde anche valore immobiliare, con un crollo fino al 16% rispetto alle aree urbanamente vive e servite. E il divario può arrivare addirittura al 36% se il confronto si fa con le zone a più alta presenza commerciale.
Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli apre i lavori con una riflessione che suona come un monito politico: «Le città non possono essere lasciate senza una visione: serve un’agenda urbana nazionale, chiara e stabile, che consideri commercio, turismo e servizi come un vero bene comune». Una frase che racchiude la preoccupazione del settore e il peso dei numeri che arrivano a certificare un trend allarmante.
Negli ultimi 12 anni, in Italia hanno definitivamente abbassato la saracinesca 140mila negozi. Un’emorragia che riguarda tutti i settori, con conseguenze visibili anche nei comportamenti e nelle percezioni dei cittadini. La ricerca realizzata da Confcommercio insieme a Swg fotografa infatti una sensibilità crescente: il 55% degli italiani ha notato la scomparsa di negozi di articoli sportivi, librerie e giocattoli; il 49% quelli di abbigliamento, profumerie e gioiellerie; il 46% ferramenta e arredamento; il 45% gli alimentari.
E la reazione emotiva è netta: l’80% prova tristezza vedendo saracinesche abbassate. Per il 73%, la chiusura dei negozi comporta un calo diretto della qualità della vita. Non è solo una questione di servizi mancanti: le attività commerciali vengono percepite come motori di socialità (64%), di cura degli spazi pubblici (62%) e presidi di sicurezza (60%). Il dato conferma quanto il commercio di vicinato incida sul senso di comunità e sulla vivibilità complessiva dei quartieri.
Nonostante la crescita dell’e-commerce, il desiderio degli italiani è chiaro: il 67% vuole più negozi di vicinato per ridurre gli spostamenti e il 68% chiede un mix di piccole e medie attività per una maggiore varietà di scelta. Ma il turismo, nelle città più esposte, altera ulteriormente l’equilibrio: il 49% nota un aumento sbilanciato delle attività legate al cibo e il 23% segnala la crescita di negozi per turisti con prodotti di bassa qualità.

Sangalli insiste su un punto politico e culturale: la necessità di «riattivare il circuito virtuoso tra urbs e civitas». Per farlo, propone tre livelli di intervento: «un coordinamento nazionale stabile per la rigenerazione urbana, distretti economici armonizzati a livello regionale e programmi pluriennali dell’economia di prossimità nei Comuni». Perché il declino urbano, avverte, «non è una battaglia di categoria, ma una responsabilità condivisa. La città è un bene comune e i beni comuni vanno difesi, vanno tutelati».
Il messaggio che arriva da Bologna è netto: senza negozi non si perde solo commercio, ma la tenuta stessa dei quartieri. E la svalutazione delle case, specchio diretto della qualità urbana, è solo il primo segnale di un declino che rischia di accelerare se non verranno messe in campo politiche strutturali e continuative.
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