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11 Novembre 2025 - 12:30
Superbonus truccato, maxi-frode da 9 milioni: cantieri fantasma e crediti falsi
Dietro ai ponteggi fermi e ai cartelli dei cantieri mai completati si nascondeva una delle più grandi frodi edilizie scoperte quest’anno in Emilia-Romagna. Nove condomini, otto a Imola e uno a Castel San Pietro, erano diventati il teatro di un sistema ingegnoso ma criminale, messo in piedi per incassare i vantaggi del Superbonus 110% senza eseguire i lavori promessi. La Guardia di Finanza di Bologna, coordinata dalla Procura, ha portato alla luce una rete fatta di società compiacenti, professionisti infedeli e crediti fiscali fantasma, per un valore complessivo di 9 milioni di euro.
L’indagine, partita quasi per caso, è stata condotta dal nucleo di Imola sotto la guida del colonnello Giovanni Parascandolo, e ha avuto origine da una serie di controlli di routine contro il lavoro nero effettuati alla fine del 2024. Da un semplice sospetto di irregolarità nei cantieri si è arrivati a scoprire un meccanismo sofisticato di truffa aggravata, fondato su documenti falsi e lavori mai realizzati.
Secondo la ricostruzione della Procura di Bologna, coordinata inizialmente dal pm Augusto Borghini e poi dalla collega Manuela Cavallo, la società al centro dell’inchiesta – con sede legale in Lombardia – aveva ottenuto appalti per la messa in sicurezza sismica e la riqualificazione energetica di diversi edifici, sfruttando gli incentivi fiscali del Superbonus. In realtà, gran parte di quei lavori non è mai stata eseguita, o è stata effettuata solo parzialmente e in tempi successivi alle autorizzazioni, quando le condizioni per accedere all’agevolazione più vantaggiosa non erano più valide.

Le indagini, svolte in collaborazione con l’ufficio tecnico del Nuovo Circondario Imolese, hanno documentato situazioni emblematiche: condomìni che risultavano "riqualificati" nei documenti, ma dove non era stato sostituito nemmeno un infisso; cantieri formalmente chiusi ma mai partiti; fatture per lavori di isolamento termico o adeguamento sismico completamente inventate. Gli accertamenti hanno rivelato persino la presenza di firme apocrife, ovvero falsificate, nei documenti ufficiali trasmessi all’Agenzia delle Entrate e al portale Enea.
Attraverso il sistema di cessione dei crediti, la società ha poi trasformato i lavori inesistenti in crediti fiscali da rivendere a terzi, monetizzando milioni di euro. Gli inquirenti hanno ricostruito un flusso finanziario opaco, fatto di passaggi di denaro e quote sociali che miravano a nascondere la provenienza illecita dei fondi.
Le sequestri preventivi disposti dalla Procura ammontano a 9 milioni di euro, cifra corrispondente ai crediti fiscali ritenuti fittizi. Oltre al denaro, la Guardia di Finanza ha congelato 46 appartamenti distribuiti tra Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Campania, insieme a conti correnti e partecipazioni societarie.
Sono sei le persone denunciate, con l’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Tra loro figurano i due amministratori della società appaltatrice, due geometri e altri tecnici abilitati che avrebbero redatto false asseverazioni. Per questi ultimi l’accusa si estende anche a false informazioni in atti pubblici, un reato che aggrava ulteriormente la loro posizione.
Dietro questa operazione si cela il volto più oscuro del Superbonus, uno strumento nato per rilanciare l’edilizia e migliorare la sicurezza e l’efficienza energetica del patrimonio immobiliare italiano, ma che in troppi casi si è trasformato in terreno fertile per frodi e speculazioni. L’impianto del 110% – basato sulla possibilità di ottenere lo sconto immediato in fattura e di cedere il credito d’imposta – ha reso possibile monetizzare rapidamente lavori spesso non verificabili, aprendo la strada a comportamenti truffaldini.
Il comandante Parascandolo ha sottolineato che la vigilanza sulle agevolazioni edilizie resta una priorità per la Guardia di Finanza: «Il nostro compito – ha spiegato – è assicurare che risorse pubbliche ingenti, come quelle dei bonus, non vengano distolte dai loro obiettivi di crescita economica e sicurezza per i cittadini».
La truffa, oltre al danno economico allo Stato, ha colpito anche le famiglie residenti nei condomìni coinvolti. Nei nove edifici dell’Imolese vivono circa 180 persone, molte delle quali si ritrovano ora con lavori incompleti, pratiche sospese e la prospettiva di dover fronteggiare conseguenze fiscali e legali non indifferenti.
La Procura sta ora valutando se esistano ramificazioni della frode in altre regioni, visto che i sequestri hanno interessato anche immobili in Piemonte e Campania. Non si esclude che la società lombarda abbia replicato lo schema in altri cantieri, sfruttando la complessità delle norme e la lentezza dei controlli.
Il caso di Imola rappresenta dunque un nuovo monito sul rischio sistemico legato ai bonus edilizi, spesso troppo facilmente manipolabili da chi è in cerca di guadagni rapidi. Una corsa all’incentivo che, senza controlli adeguati, rischia di compromettere la fiducia nei meccanismi di sostegno pubblico e di rallentare il rilancio di un settore già provato dalla crisi e dalla stretta normativa seguita agli scandali degli ultimi anni.
Con la chiusura della prima fase dell’indagine, la Guardia di Finanza ha già trasmesso alla Procura ulteriori informative per accertare le responsabilità penali e patrimoniali dei soggetti coinvolti. I sequestri serviranno a bloccare la dispersione del denaro pubblico, ma anche a dare un segnale chiaro: i fondi destinati alla sicurezza e all’efficienza energetica devono rimanere un patrimonio collettivo, non un’occasione per frodi milionarie.
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