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10 Novembre 2025 - 12:51
Antibiotici, consumo ancora alto in Italia: un cittadino su 60 ne assume ogni giorno
Il consumo di antibiotici in Italia resta tra i più alti d’Europa. Nonostante un leggero calo del 1,3% rispetto al 2023, ogni giorno quasi 17 italiani ogni mille assumono almeno un antibiotico, un dato che continua a destare preoccupazione tra gli esperti. A fotografare la situazione è il Rapporto OsMed 2024 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), presentato a Roma, che conferma una realtà ormai consolidata: l’uso eccessivo e spesso improprio di questa classe di medicinali.
La geografia del consumo è netta. Il Sud resta l’area con i livelli più alti, dove il 43,6% della popolazione ha assunto almeno un antibiotico nel corso dell’anno, contro il 40,1% del Centro e il 30,6% del Nord. Una forbice che, secondo l’Aifa, «fa riflettere su prescrizioni e consumi non sempre appropriati». In altre parole, si ricorre ancora troppo spesso agli antibiotici anche quando non servono, per infezioni virali o disturbi di lieve entità, alimentando il rischio di antibiotico-resistenza, la vera emergenza sanitaria silenziosa del nostro tempo.
Tra i farmaci più utilizzati, si conferma in testa l’associazione amoxicillina-acido clavulanico, con 6,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti, pari al 38% dell’intera categoria, e una spesa media di 3,13 euro pro capite. Seguono claritromicina (1,9 dosi giornaliere) e azitromicina (1,6 dosi giornaliere). L’uso di questi principi attivi mostra però differenze significative per età: la prevalenza più alta si registra tra i bambini sotto i 4 anni (45-47%) e tra gli anziani over 85 (54-58%).

Non è solo una questione di antibiotici. Il rapporto OsMed conferma che gli anziani restano i maggiori consumatori di farmaci in assoluto. Il 97,4% degli over 65 ha ricevuto almeno una prescrizione nel corso dell’anno, con una media di 3,4 dosi al giorno. L’analisi rivela anche un fenomeno sempre più diffuso: la polifarmacoterapia, ossia l’assunzione contemporanea di più medicinali.
Il 68,1% degli over 65 ha assunto almeno cinque principi attivi diversi, mentre quasi uno su tre (28,3%) ha fatto uso di dieci o più sostanze nel corso del 2024. Numeri che, osserva l’Aifa, “aumentano le occasioni di errore, di interazioni pericolose e di abbandono delle terapie”.
Dietro i dati statistici c’è un quadro complesso che intreccia l’invecchiamento della popolazione, la medicina difensiva e la pressione dei pazienti sui medici di base. L’Italia, da anni, è ai primi posti in Europa per prescrizioni di antibiotici non necessarie, una pratica che contribuisce alla resistenza antimicrobica, ossia alla perdita di efficacia dei farmaci contro i batteri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito il fenomeno “una delle dieci principali minacce per la salute globale”.
In Italia, nonostante campagne di sensibilizzazione e linee guida più stringenti, il cambiamento delle abitudini cliniche procede lentamente. Secondo diversi studi citati dall’Aifa, il 30% delle prescrizioni antibiotiche in ambito ambulatoriale resta inappropriato, soprattutto per infezioni respiratorie o urinarie di origine virale.
Il Sud, come spesso accade, riflette una realtà sanitaria più fragile, dove la pressione territoriale sui medici di base e l’accesso non sempre uniforme ai servizi di prevenzione portano a un ricorso eccessivo ai farmaci. In molte aree, l’antibiotico è ancora percepito come una “cura universale”, una scorciatoia per guarire più in fretta, indipendentemente dalla causa dell’infezione.
Il rapporto OsMed invita a rafforzare la formazione e la consapevolezza sia tra i professionisti sanitari sia tra i cittadini. Le raccomandazioni dell’Aifa insistono sulla necessità di promuovere un uso prudente e mirato degli antibiotici, basato su diagnosi precise e sulla cultura della prevenzione.
Il tema non riguarda solo la medicina generale. Anche in ospedale, l’abuso di antibiotici resta elevato, con differenze regionali marcate. L’adozione di programmi di “antimicrobial stewardship”, ossia la gestione razionale degli antibiotici, sta migliorando ma non è ancora diffusa in modo omogeneo.
A pesare, infine, è il paradosso italiano: un sistema sanitario che prescrive troppo e monitora ancora poco. Mentre nei Paesi del Nord Europa — come la Svezia o i Paesi Bassi — le campagne di controllo hanno ridotto drasticamente l’uso di antibiotici, in Italia il livello resta superiore alla media europea.
In questo scenario, il lieve calo registrato nel 2024 è un segnale positivo, ma ancora fragile. Senza un cambio di mentalità — avverte l’Aifa — il rischio è che i progressi si vanifichino e che l’antibiotico, da alleato, diventi un’arma spuntata.
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