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Tracciati minuto per minuto: come i nostri smartphone vendono la vita di milioni di italiani

Dati di posizione in vendita tra broker, aziende e governi: così la geolocalizzazione diventa il più grande mercato invisibile d’Europa

Tracciati minuto per minuto

Tracciati minuto per minuto: come i nostri smartphone vendono la vita di milioni di italiani

«Dimmi dove vai e ti dirò chi sei». Mai frase è stata più vera nell’epoca degli smartphone. Ogni spostamento, ogni indirizzo, ogni minuto trascorso in un luogo contribuisce a disegnare un ritratto digitale che non appartiene più solo a noi. Basta un tocco sullo schermo per concedere, senza pensarci, l’autorizzazione a registrare la nostra posizione in tempo reale. Un consenso apparentemente innocuo che, nei fatti, trasforma la nostra quotidianità in un prodotto commerciabile.

Dietro quel gesto automatico — l’attivazione della geolocalizzazione — si nasconde un sistema economico colossale, gestito da società specializzate nel raccogliere, confezionare e vendere le nostre coordinate: i data broker. Una galassia di intermediari, quasi tutti con sede fuori dall’Unione europea, che scambiano milioni di dati di posizione ogni giorno. In cambio, offrono a chi paga la possibilità di sapere chi siamo, dove viviamo, dove lavoriamo, chi frequentiamo e perfino dove ci curiamo.

Quando si compra un nuovo smartphone, la prima tappa è quasi sempre la stessa: aprire Impostazioni, entrare in Privacy e attivare la localizzazione. Serve per usare Google Maps, per trovare un telefono smarrito, per conoscere il meteo, per giocare o per chattare. Ma dietro la schermata rassicurante di un’icona luminosa si cela un sistema di raccolta capillare di informazioni. Ogni app che scarichiamo può contenere un modulo, lo Sdk (Software Development Kit), che consente ai data broker di attingere direttamente ai dati di localizzazione di milioni di dispositivi.

Il risultato è che il nostro smartphone, costantemente connesso ai satelliti Gps, alle celle telefoniche e alle reti Wi-Fi, conosce ogni nostro passo. E chi gestisce quei dati, una volta ottenuto il nostro consenso alla privacy (che quasi nessuno legge davvero), può conservarli, elaborarli e rivenderli.

I dataset forniti dai broker sono file sterminati: milioni di righe, ciascuna con un codice alfanumerico, il Mobile Advertising ID (Maid), che identifica in modo univoco il dispositivo. Seguono sistema operativo, ora e durata della connessione, coordinate esatte e indirizzo IP. In apparenza, nomi e cognomi non compaiono. Ma con pochi centesimi in più, spiegano gli esperti, molti broker offrono pacchetti che collegano il Maid a nome, cognome ed email.

Il prezzo? Dai 3 ai 5 mila dollari al mese per l’accesso a un territorio intero, con possibilità di upgrade. Un investimento che permette di seguire, come in un film, gli spostamenti di milioni di persone. Un campione di dati reali, fornito a titolo dimostrativo da una società di marketing, ha tracciato per due settimane di giugno 2025 oltre due milioni di dispositivi nelle aree di Milano, Firenze, Roma e Napoli. Ogni riga raccontava vite intere: partenze alle sei del mattino, soste, orari di rientro, percorsi abituali.

Dietro quei numeri, ci sono nomi di fantasia ma storie vere. La promessa di anonimato è fragile. I dati, una volta correlati, parlano da soli. Basta incrociare orari, luoghi di lavoro, tragitti scolastici o frequentazioni sanitarie per identificare senza dubbio una persona. Così, chi compra i dati di un’area può sapere chi si reca regolarmente in una clinica oncologica, chi frequenta un partito politico, chi entra in caserma o in una sede ministeriale.

A differenza delle indagini giudiziarie — dove un magistrato deve ottenere l’autorizzazione di un giudice e rispettare limiti precisi — nel mercato dei dati non esistono vincoli. Tutto avviene su base commerciale: chi paga ottiene.

Il rischio è duplice. Sul piano individuale, i dati possono diventare strumenti di ricatto o stalkeraggio. Sul piano collettivo, possono alimentare spionaggio industriale o politico, consentendo di seguire i movimenti di funzionari pubblici e militari. Un’inchiesta di Le Monde ha dimostrato come, attraverso una nota app di fitness, venissero tracciati gli spostamenti del presidente Macron. Un’indagine condotta con L’Echo ha rivelato che perfino i funzionari dell’Unione europea vengono seguiti fino a casa.

In Italia, la diffusione illecita di dati personali è punita dagli articoli 167 e 167-bis del Codice della privacy, ma la linea di confine è sottile: se l’utente ha dato il consenso — anche inconsapevolmente — il trattamento è formalmente legittimo. Il problema è che la maggior parte di questi broker opera all’estero, dove le autorità italiane hanno scarsa giurisdizione. E così, la protezione si riduce a un esercizio di fiducia.

La Commissione europea, attraverso il Dipartimento Dg Justice, ha ammesso la propria inquietudine: «Siamo preoccupati per il commercio dei dati di geolocalizzazione dei cittadini e dei funzionari della Commissione, un mercato di cui molti non sono consapevoli». La portavoce ha ricordato che il Gdpr impone che i dati personali siano raccolti solo per fini espliciti e legittimi, ma la sorveglianza dell’applicazione spetta alle autorità nazionali.

Bruxelles ha intanto emanato nuove linee guida per il personale delle istituzioni europee: ridurre l’uso delle app che tracciano, controllare le impostazioni pubblicitarie e non fornire il consenso se non strettamente necessario. È un segnale politico, ma anche un’ammissione: la legge da sola non basta a fermare un mercato miliardario che si muove fuori dai radar giudiziari.

La grande illusione è quella di controllare i propri dati. In realtà, nella maggior parte dei casi, gli utenti non sanno cosa stanno firmando. Le informative sono lunghe, scritte in linguaggio tecnico, e l’opzione “Accetta” è la scorciatoia più comoda. In pochi leggono che le informazioni potranno essere condivise con “partner commerciali” o “terze parti per finalità di marketing”, formule che equivalgono a un lasciapassare.

Pierguido Iezzi, direttore cyber di Maticmind – Zenita Group, sintetizza così il problema: «La geolocalizzazione racconta abitudini, relazioni, momenti privati. Va concessa solo quando serve davvero. Bisogna capire perché un servizio la chiede e per quanto la userà». La sua raccomandazione è concreta: entrare in Impostazioni, aprire Privacy e Localizzazione, e per ogni app decidere il livello di accesso: solo mentre è in uso, su richiesta, o mai.

Molti utenti giustificano l’attivazione della localizzazione come misura di sicurezza, per ritrovare il telefono o monitorare i figli. È vero. Ma la stessa funzione che ci tutela è quella che ci espone. Ogni segnale emesso diventa un frammento di un mosaico più grande. E mentre noi pensiamo di navigare liberi, qualcuno ci segue in silenzio.

Il paradosso è che l’Europa dispone di uno dei quadri normativi più avanzati al mondo — il Gdpr, appunto — ma la sua applicazione dipende dalla consapevolezza individuale. In assenza di controlli sistematici, la responsabilità ricade sugli utenti. È la nuova frontiera della privacy: non più difendere un diritto astratto, ma decidere di non cederlo.

Il mercato dei dati non conosce confini. Secondo recenti stime europee, vale già oltre 130 miliardi di euro l’anno e cresce del 20 % ogni dodici mesi. Gli stessi dati che alimentano la pubblicità personalizzata e i servizi di navigazione vengono usati per valutare profili di rischio assicurativi, politiche commerciali, e perfino strategie elettorali. La geolocalizzazione, cioè sapere dove si trova una persona, è la forma più preziosa e invasiva di conoscenza: permette di dedurre tutto il resto.

La sensazione di libertà digitale che accompagna la vita quotidiana è dunque parziale. Ogni spostamento è registrato, ogni pausa caffè è un dato, ogni fermata un punto su una mappa. E quella mappa non appartiene più a noi.

L’illusione della “privacy garantita” si sgretola davanti alla realtà di un’economia che vive di sorveglianza. Non c’è più bisogno di microspie o investigatori privati: basta un’app scaricata in fretta, un consenso dato distrattamente. Da quel momento, ogni passo diventa un’informazione in vendita.

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