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09 Novembre 2025 - 11:46
Il governo blocca i maxi stipendi nella Pa: nessun aumento automatico dopo la sentenza della Consulta
Dopo settimane di tensione e polemiche, il governo interviene sui maxi stipendi nella pubblica amministrazione. È ormai pronta la circolare del ministro della Funzione pubblica Paolo Zangrillo, attesa entro pochi giorni, che chiederà agli enti pubblici di soprassedere agli adeguamenti salariali dei dirigenti apicali, almeno fino a quando non verrà varato un nuovo quadro normativo. Una mossa che arriva dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha fatto saltare il tetto dei 240 mila euro per le retribuzioni nella Pa, imponendo al governo di rivedere i criteri di determinazione dei compensi più alti.
La circolare, secondo quanto anticipato da La Repubblica e Il Corriere della Sera, invita le amministrazioni a non procedere automaticamente all’aumento degli stipendi, chiarendo che eventuali riallineamenti potranno scattare solo in presenza di risorse specifiche già stanziate e destinate a questo scopo. Il testo, ancora oggetto di confronto tra Palazzo Chigi e il ministero competente, si propone di evitare un effetto domino di incrementi retributivi, che rischierebbe di pesare sui bilanci pubblici e di creare forti disparità tra le diverse strutture dello Stato.
Il passaggio più significativo del documento invita a “soprassedere” alla rideterminazione del trattamento economico in attesa di un provvedimento normativo più organico. La disposizione intende congelare ogni iniziativa di adeguamento, almeno fino a quando non sarà definito il perimetro dei casi in cui l’adeguamento potrà essere consentito.

La circolare dovrebbe inoltre fornire “chiarimenti applicativi” della sentenza della Consulta, aprendo però alla possibilità di alcune esenzioni. In una seconda fase, con un decreto del Presidente del Consiglio (dpcm), verrà stilato l’elenco degli incarichi eventualmente esclusi dal blocco. Secondo le prime indiscrezioni, potrebbero rientrare in questa categoria dodici posizioni di vertice, tra cui i comandanti delle forze armate e delle forze di polizia — Carabinieri, Esercito, Marina, Aeronautica e Polizia di Stato — oltre al capo della Protezione civile. Per questi ruoli di massima responsabilità, in presenza delle risorse necessarie, potrà essere deliberato un adeguamento, ma non vi sarà alcun automatismo.
Per tutti gli altri dirigenti pubblici, invece, la linea è chiara: nessun aumento automatico, nessuna corsa agli adeguamenti. Il governo vuole evitare che la sentenza della Consulta, nata per sanare un vizio di legittimità nel tetto ai compensi, si traduca in una valanga di incrementi indiscriminati a carico dello Stato.
Il ministro Paolo Zangrillo ha confermato al quotidiano La Repubblica che la posizione dell’esecutivo è condivisa con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. I due stanno lavorando a una proposta che, “nel rispetto delle prerogative contrattuali”, stabilisca criteri capaci di “evitare un ingiustificato appiattimento verso l’alto delle retribuzioni”. L’obiettivo è legare gli stipendi pubblici al merito, alla produttività e alle responsabilità dei singoli incarichi dirigenziali. Zangrillo ha anche precisato che “non si tratta di stabilire aumenti e non ce ne saranno nell’immediato”.
Dietro la prudenza del linguaggio burocratico si intravede una partita politica e finanziaria delicata. Dopo la decisione della Consulta, che ha cancellato il tetto dei 240 mila euro introdotto nel 2014 per contenere le retribuzioni dei vertici pubblici, diverse amministrazioni avevano cominciato a valutare la possibilità di riallineare gli stipendi dei dirigenti apicali, in particolare quelli delle autorità indipendenti, dei ministeri e delle grandi aziende di Stato.
Senza un intervento immediato, si sarebbe rischiato un effetto a catena con aumenti automatici anche superiori al 30%, in un momento in cui il governo è impegnato nella legge di bilancio e nella ricerca di risorse per sanità e welfare. La circolare Zangrillo è quindi una misura di contenimento preventivo, volta a bloccare le spinte al rialzo in attesa di un quadro legislativo più equilibrato.
La scelta del governo si inserisce in un contesto economico e sociale già sensibile. Mentre si discute di taglio del cuneo fiscale e di stipendi reali che, per la maggior parte dei lavoratori italiani, restano fermi da oltre un decennio, l’ipotesi di un aumento per le retribuzioni più alte della Pa avrebbe creato una frattura d’immagine difficilmente gestibile.
Il tema dei compensi pubblici, d’altra parte, non è nuovo. Il tetto dei 240 mila euro, introdotto nel 2014 durante il governo Renzi, nacque per allineare i trattamenti economici di tutti i dirigenti pubblici a quello del Presidente della Repubblica, considerato un limite di equità e sobrietà. Negli anni, però, numerose eccezioni e ricorsi avevano minato la tenuta della norma. La sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale la rigidità del tetto, ha di fatto aperto una fase di vuoto regolatorio.
Da qui la necessità di un intervento urgente. La circolare di Zangrillo non chiude la questione ma la sospende, evitando che ogni amministrazione interpreti autonomamente la decisione della Consulta. In parallelo, il governo prepara un intervento legislativo strutturale, che potrebbe arrivare con la prossima manovra o con un decreto ad hoc, per ridisegnare il sistema delle retribuzioni pubbliche.
Secondo quanto filtra da ambienti vicini al ministero, l’intenzione è quella di superare il concetto di tetto fisso, sostituendolo con una griglia di parametri legata alla funzione e alla complessità dell’incarico, introducendo elementi di valutazione oggettiva sulle performance e sulla responsabilità gestionale. Una logica che punta a “premiare il merito” ma che dovrà essere attentamente calibrata per evitare nuove disuguaglianze.
Nel frattempo, la circolare fungerà da argine temporaneo. “Soprassedere” è la parola chiave del documento, che tradotta nel linguaggio amministrativo significa: “non muovete nulla fino a nuovo ordine”. Un invito alla prudenza rivolto a tutti i vertici della macchina statale, dalle autorità centrali agli enti locali.
L’elenco delle posizioni eventualmente escluse dal blocco sarà definito solo in seguito, ma la linea politica è già tracciata: no all’aumento generalizzato, sì al merito e alla sostenibilità.
Il governo Meloni, consapevole della sensibilità del tema, cerca così di disinnescare una potenziale polemica in grado di danneggiare l’immagine dell’esecutivo in un momento di forte pressione sociale. La partita dei maxi stipendi, infatti, si gioca non solo sui conti pubblici, ma anche sulla percezione di giustizia e credibilità delle istituzioni.
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