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Mauro Berruto torna in panchina dopo dieci anni: “Allenerò la nazionale palestinese, là dove lo sport può diventare pace”

L’ex ct azzurro riprende il fischietto su invito del Comitato Olimpico Palestinese: “Un campo da gioco può ancora essere luogo di coraggio e speranza”

Mauro Berruto

Mauro Berruto

L’ex ct della Nazionale di volley guiderà per alcuni giorni la squadra palestinese: “Lo sport come atto di pace e respiro di libertà”

Dieci anni dopo aver lasciato la panchina della Nazionale italiana di pallavolo maschile, Mauro Berruto torna in palestra. Ma non in una palestra qualunque. Lo farà, come lui stesso scrive, “nel posto più simbolico e fragile che si possa immaginare: la Palestina”.

Deputato del Partito Democratico ed ex commissario tecnico degli azzurri, bronzo olimpico a Londra 2012, Berruto ha annunciato sui social il suo prossimo incarico, definendolo “un viaggio nel significato più profondo dello sport”. Su invito del Comitato Olimpico Palestinese e della Federazione Palestinese di Pallavolo, sarà per qualche giorno commissario tecnico della nazionale maschile di pallavolo palestinese, conducendo una serie di allenamenti, corsi di formazione per allenatori e incontri istituzionali dedicati alla diplomazia sportiva.

«Non entravo in una palestra da dieci anni – racconta –. Per scelta, forse per rispetto verso una parte di me che aveva chiuso un cerchio perfetto. Ho trascorso venticinque anni ad allenare, ho avuto l’onore di guidare la Nazionale italiana fino al bronzo olimpico di Londra 2012. Non pensavo di poter avere nulla di più. Ora, dieci anni dopo, accadrà di nuovo».

Il ritorno avverrà nell’ultima settimana di novembre, quando Berruto raggiungerà la Palestina insieme a una delegazione di esponenti democratici: Ouidad Bakkali, Laura Boldrini, Sara Ferrari, Valentina Ghio e Andrea Orlando. Una missione che, nelle intenzioni del gruppo, vuole essere “un messaggio di pace, dialogo e cooperazione”, in un momento storico segnato da tensioni e conflitti, ma anche da un crescente desiderio di ricostruire spazi di incontro.

«Allenare una nazionale, in qualunque parte del mondo, è sempre un privilegio – scrive l’ex ct azzurro –. Allenare quella palestinese, oggi, è qualcosa di più grande: è un atto di fiducia nello sport come respiro di libertà».

Berruto descrive il progetto come un’esperienza che va oltre il gesto tecnico, un’occasione per restituire ciò che lo sport gli ha dato: «Torno in palestra, dopo dieci anni, per restituire un po’ di quel dono che lo sport mi ha fatto per tutta la vita: la possibilità di credere che anche nei luoghi più difficili, un campo da gioco possa ancora essere luogo di coraggio e speranza nel futuro».

A corredo del suo messaggio, ha pubblicato una foto della nazionale palestinese: gli atleti in posa e, al centro, un allenatore in bianco e nero, scomparso da poco. “Questa sarà la mia squadra – scrive Berruto –. Gli atleti e, al centro, il coach che vedete nella foto, purtroppo, non sono più tra noi**.”

Il ritorno di Berruto, che dopo la carriera sportiva ha intrapreso un percorso politico e culturale di ampio respiro, assume il valore di un gesto simbolico. Allenare, in questo contesto, diventa una forma di diplomazia gentile, un modo per trasformare il campo di pallavolo in un luogo di incontro, in cui le differenze non dividono ma si traducono in gioco, in rispetto reciproco, in un linguaggio universale di riconciliazione.

L’ex ct non ha mai smesso di credere nel potere educativo dello sport. Lo ha testimoniato in Parlamento, nelle scuole e nelle palestre, ricordando come l’allenamento e la disciplina possano diventare strumenti di crescita e inclusione. Ora quella convinzione trova una nuova espressione, in uno scenario fragile ma ricco di significato.

Per la Palestina, il suo arrivo rappresenta non solo un’opportunità tecnica, ma anche un segnale di attenzione e solidarietà internazionale. In un territorio ferito, dove anche lo sport deve fare i conti con la precarietà quotidiana, il gesto di Berruto assume la forza di un ponte tra popoli, un tentativo di far parlare la palla al posto delle armi, la squadra al posto della divisione.

Lo sport può ancora essere un linguaggio di riconciliazione”, scrive Berruto. E forse è proprio questa la sua sfida più grande: dimostrare che anche nelle terre dove la speranza è più fragile, un pallone che vola sopra la rete può ancora insegnare qualcosa di potente.

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