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08 Novembre 2025 - 13:42
Un’Italia che invecchia e un mercato del lavoro che fatica a rigenerarsi: è la faglia lungo cui si sta giocando la tenuta economica e sociale del Paese. Se nel Mezzogiorno i pensionati superano gli attivi da anni, il nuovo rapporto della Cgia illumina un campanello d’allarme più vicino: in Piemonte, tre province sono già oltre la soglia critica, mentre altrove i margini si assottigliano.
La fotografia nazionale è nota: nel Sud i pensionati superano gli occupati. Ma il dossier della Cgia mostra che il fenomeno non è più confinato oltre il Garigliano. In Piemonte il divario avanza e disegna una regione a due velocità: l’area industriale e metropolitana regge, quella periferica e agricola arretra.
Ecco i dati
Alessandria: più pensioni che lavoratori attivi (-6.443)
Vercelli: più pensioni che lavoratori attivi (-7.068)
Biella: più pensioni che lavoratori attivi (-9.341)
Torino: 959.476 occupati e 864.550 pensioni, saldo positivo (+94.926)
Cuneo: saldo positivo (+28.199)
Novara: saldo positivo (+15.112)
Asti: saldo positivo (+3.603)
Verbano-Cusio-Ossola: appena sopra la parità (+3.388)

Questa distribuzione restituisce l’immagine di un Piemonte bifronte: da un lato la cintura industriale-metropolitana che ancora tiene, dall’altro l’entroterra che perde spinta e vede restringersi la base produttiva.
La ricerca è esplicita: con il numero di pensionati in aumento e gli occupati destinati a rimanere stabili, la spesa pubblica crescerà. Il rischio, avverte il report, è duplice: l’equilibrio dei conti può incrinarsi e, con esso, la tenuta economica e sociale dei territori più fragili. In altre parole, meno lavoratori per sostenere più prestazioni significa un welfare più costoso e maggiori tensioni su bilanci già sotto stress.
La “terapia” proposta è chiara: allargare la base occupazionale, facendo emergere il lavoro sommerso e rilanciando la partecipazione di giovani e donne, ancora tra le più basse d’Europa. Il potenziale sommerso non è marginale: secondo l’Istat, nel 2023 il lavoro irregolare vale 3.132.000 unità di lavoro a tempo pieno, di cui oltre 2,2 milioni come dipendenti; un esercito di invisibili cresciuto del 4,9% sul 2022.
Il punto non è solo aritmetico, è strutturale. Dove il saldo tra pensioni e occupati scivola in territorio negativo, si impoverisce la capacità di creare reddito, investire e trattenere capitale umano. Torino e pochi poli resistono, ma gli scarti si riducono; nelle aree periferiche, la combinazione di invecchiamento e lavoro irregolare accelera il declino.
Senza un aumento dell’occupazione regolare e della partecipazione al lavoro di giovani e donne, la forbice tenderà ad aprirsi, alimentando una spirale che la finanza pubblica potrà solo inseguire a costi crescenti. L’appello che arriva dai dati è dunque pragmatico: trasformare il potenziale latente in lavoro regolare e retribuito, restituire massa critica ai territori che arretrano e preservare la sostenibilità dei conti. È una questione di numeri, ma soprattutto di scelte.
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