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08 Novembre 2025 - 17:14
L'ex magistrato Gian Carlo Caselli: “No alla separazione delle carriere”. Fratelli d'Italia insorge (foto: Caselli e Antonetto)
La riforma della giustizia approvata dal Senato lo scorso 30 ottobre continua a far discutere il mondo politico e giudiziario. Una riforma che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Tra le voci più autorevoli che si sono espresse in modo critico c’è quella di Gian Carlo Caselli, già procuratore della Repubblica a Palermo e a Torino, figura simbolo della lotta al terrorismo e alle mafie.
Durante un incontro pubblico sulla legalità il 7 novembre a Gassino Torinese, l’ex-magistrato ha risposto a una domanda della giornalista Carola Speranza sul “nucleo centrale” della riforma. La sua risposta è stata netta: «In tutti i Paesi dove esiste la separazione delle carriere, il potere esecutivo – cioè il ministro della Giustizia – può dare direttive al pubblico ministero, e il pubblico ministero deve ottemperare. È la fine dell’indipendenza della magistratura e, soprattutto, dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge».
Caselli ha spiegato che il punto critico della riforma non è di natura tecnica, ma di principio: «Con la separazione delle carriere, i pubblici ministeri diventeranno una casta a parte, un gruppo di 1.200 magistrati dotati di un potere fortissimo, quello dell’obbligatorietà dell’azione penale. Un potere così, se non è controllato da nessuno, prima o poi finirà sotto il controllo dell’esecutivo. È successo ovunque nel mondo, succederà anche da noi».
Per l’ex procuratore, la riforma approvata dal Parlamento rompe uno degli equilibri fondamentali della Costituzione: «Il primo difetto di questa legge è che non nasce nello spirito dei Padri costituenti. È imposta da una parte politica all’altra. E le leggi costituzionali non dovrebbero mai dividere, ma unire».
La separazione delle carriere non è un tema nuovo. È una delle questioni che da decenni divide il mondo della giustizia e che periodicamente riemerge nel dibattito politico. L’idea alla base è quella di creare due percorsi professionali distinti: da un lato i magistrati giudicanti, che emettono le sentenze, dall’altro quelli requirenti, cioè i pubblici ministeri che rappresentano l’accusa.
Oggi, invece, giudici e pm appartengono allo stesso ordine, governato da un unico Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
I sostenitori della riforma – a partire dal ministro Carlo Nordio e dalla maggioranza di centrodestra – sostengono che la separazione serva a rafforzare la terzietà del giudice, cioè la sua distanza dalle parti in causa. In questo modo, dicono, il magistrato che giudica non avrà mai un passato da pm e potrà apparire più imparziale. Secondo questa visione, la riforma renderebbe anche più chiari i ruoli, riducendo il rischio di “contaminazioni” tra chi indaga e chi giudica.
Un altro argomento portato avanti dai fautori della riforma è la volontà di limitare il potere delle "correnti" interne alla magistratura, creando due Consigli Superiori separati – uno per i giudici e uno per i pm – con una parte dei membri nominata per sorteggio. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre l’autoreferenzialità e le logiche di appartenenza che negli ultimi anni hanno minato la credibilità del CSM.
Ma le critiche non mancano. Caselli ha ribadito a Gassino quella che è anche la posizione di gran parte della magistratura italiana e dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM): separare le carriere significherebbe, nel medio periodo, rendere il pubblico ministero meno indipendente, trasformandolo di fatto in un funzionario del Governo.
In molti ordinamenti europei dove le carriere sono divise, infatti, il ministro della Giustizia può emanare direttive generali alle procure, influenzando le priorità investigative o l’indirizzo dell’azione penale.
Il rischio – per Caselli, Gratteri e altri – è che questa dipendenza “di sistema” apra la strada a una giustizia selettiva, più esposta al clima politico del momento.
Non è un caso che Giovanni Falcone, spesso citato in modo improprio dai sostenitori della riforma, avesse espresso una posizione molto diversa. Falcone era favorevole a una distinzione delle funzioni – chi indaga non deve mai giudicare nello stesso processo – ma era fermamente contrario alla separazione delle carriere.
Nel 1991 scrisse: «La separazione delle funzioni è necessaria, ma la separazione delle carriere può portare alla subordinazione del pubblico ministero al potere esecutivo». Per lui, la vera garanzia di equilibrio non stava nella divisione, ma nell’unità della magistratura: un corpo unico, autonomo, dove giudici e pm fossero soggetti solo alla legge.
Falcone riteneva che la Costituzione italiana avesse voluto creare un sistema di pesi e contrappesi interni, e non una gerarchia tra poteri. L’unità della magistratura, a suo giudizio, era la condizione necessaria per assicurare che il pubblico ministero potesse agire anche contro il potere politico, se necessario. E proprio per questo, ha osservato Caselli a Gassino, «spezzare l’unità della magistratura significa aprire una breccia che prima o poi qualcuno userà per condizionare l’azione penale».
Oggi, la contrapposizione tra le due visioni resta aperta: da una parte chi invoca un modello “più anglosassone” basato sul principio accusatorio; dall’altra chi teme che, in un Paese come l’Italia, ancora segnato da forti influenze politiche, una magistratura separata rischierebbe di perdere la sua autonomia.
Caselli appartiene chiaramente al secondo fronte, quello che vede nella Costituzione del 1948 un punto di equilibrio da non scardinare: «L’indipendenza della magistratura non è un privilegio dei magistrati, ma un patrimonio dei cittadini. È la garanzia che la legge valga per tutti nello stesso modo».

Paola Antonetto
Non tutti, però, hanno condiviso il tono e il contenuto del suo intervento. Paola Antonetto, consigliere regionale di Fratelli d’Italia e consigliere comunale a San Mauro Torinese, ha giudicato «fuori tema» la parte finale della serata.
«Il titolo dell’incontro non era la riforma della giustizia», ha spiegato. «Se fosse stato quello, nulla da dire. Ma in un evento dedicato alla legalità e ai giovani, trasformare il palco in una tribuna politica è stato di cattivo gusto, soprattutto da parte di un ex magistrato del suo livello».
Antonetto ha criticato anche il referente provinciale di Libera, Andrea Zummo, intervenuto nella prima parte dell’incontro: «Zummo avrebbe potuto dire che proprio la Regione Piemonte, con l’assessore Maurizio Marrone, ha stanziato oltre un milione e duecentomila euro per i beni confiscati alla mafia. Invece ha preferito attaccare il ministro dell’Istruzione e parlare di educazione sessuale. Non è obiettività, è politica».
Secondo il consigliere di FdI, Caselli avrebbe mostrato “una certa arroganza” quando, verso la fine, ha riconosciuto di «stare facendo propaganda»: «Lo può dire solo chi sa di poterselo permettere. Ma la platea non era lì per un comizio».
Pur ribadendo la stima per il suo passato, Antonetto ha criticato il tono dell’intervento: «È sembrato dire che la lotta alla mafia appartenga a una certa parte politica, da parte di Zummo. Non è così. La lotta alla mafia è di tutti».
Nonostante le divergenze, la maggior parte del pubblico e diversi membri della Giunta gassinese, compresi esponenti vicini a Forza Italia, hanno espresso apprezzamento per la presenza di Caselli e per la forza del suo messaggio.
Molti hanno sottolineato come il suo intervento, anche nei passaggi più duri, abbia riportato il confronto sul terreno dei valori costituzionali, al di là delle appartenenze politiche.
Anche Cristian Corrado, vicino invece al M5S, ha definito Caselli «un testimone della Costituzione e della democrazia».
L’incontro, nato come momento di riflessione sulla legalità, si è trasformato nella parte finale in una conferenza pubblica sul rapporto tra giustizia e politica, con toni accesi ma di alto livello.
Un confronto che ha superato i confini locali, riportando al centro del dibattito nazionale una domanda di fondo: quanto spazio può avere il potere politico dentro la giustizia, se ne abbia, e se il pubblico ministero possa essere restare indipendente dal governo.
Gian Carlo Caselli
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