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In Piemonte la sanità è marcia: troppi soldi, zero coscienza

Piemonte: non mancano i soldi, manca la vergogna — sprechi, appalti opachi, nomine amicali e intramoenia erodono la sanità pubblica.

In Piemonte la sanità è marcia: troppi soldi, zero coscienza

In Piemonte la sanità è marcia: troppi soldi, zero coscienza

Il quadro è ormai nitido come una lastra ai raggi X: la sanità piemontese non soffre di mancanza di soldi, ma di mancanza di coscienza. Di senso del dovere. Di vergogna. I soldi ci sono, eccome. Ne arrivano a palate, ne scorrono a fiumi. Il problema è che finiscono dove non dovrebbero: nelle pieghe dei bilanci, nei doppi incarichi, nei contratti esterni, nei soliti “consulenti” che consultano solo se stessi, nel popolo degli "impiegati" amici e amici degli amici. È un sistema che non cura più, ma si cura da solo: si autoalimenta di sprechi, di inefficienze, di nomine. Il paziente? Un dettaglio. Un fastidio da parcheggiare in corridoio, su una barella, in attesa che qualcuno si ricordi perché la sanità pubblica esiste.

Le inchieste della Procura di Ivrea lo stanno raccontando senza tanti giri di parole: appalti opachi, proroghe su proroghe, società che incassano, responsabilità sfumate, consulenze come se piovesse, controlli fantasmi, favori per la fidanzata, medici che vanno a giocare a golf, gente che tromba di qua e di là, concorsi truccati, ospedali vuoti, pazienti lasciati nella cacca.

E mentre i magistrati indagano, il bilancio della Città della Salute di Torino, fiore all’occhiello della sanità regionale, è un buco nero che inghiotte milioni di euro senza colpo ferire. La più grande struttura ospedaliera del Piemonte metafora perfetta del sistema: costosa, impantanata, inefficiente e incapace perfino di chiedere scusa.

In questo teatro la politica, che dovrebbe governare, controllare e garantire che fa? Nulla! E' terrorizzata. Terrore di disturbare le lobby dei medici, terrore di perdere consensi, terrore di prendersi responsabilità. Consiglieri regionali, comunali, sindaci e assessori si nascondono dietro tecnicismi e frasi fatte. La verità è che è tutta colpa loro e degli amici, parenti e portaborse piazzati nei posti di comando. Dirigenti senza cervello, a volte senza competenze e senza idee. Spesso solo coglioni di fiducia, ma fedeli. Fedelissimi. Il che, in politica, vale più di qualsiasi laurea.

Poi ci sono le società esterne, che hanno trasformato pezzi interi di sanità in un business. Si taglia sul personale, si “ottimizzano” i servizi, si taroccano i conti e si incassa. Il paziente è solo una voce di bilancio da ridurre, come la corrente o la carta igienica. Gli ospedali trasformati in  "stalle", dove infermieri esausti corrono come muli, e malati e familiari sono trattati come fastidi da smaltire, non persone da curare.

E i medici? Ce ne sono di bravissimi, eroi silenziosi, ma anche troppi che utilizzano l’ospedale solo per la targhetta sulla porta, giusto per far vedere che esistono, ma passano il tempo vero altrove: tra intramoenia e libera professione, dove il tempo si misura in parcelle e non in minuti di ascolto. 

Il risultato? Un sistema dove nessuno controlla più nessuno. Le Asl fingono di vigilare, le Regioni fingono di gestire, e i cittadini pagano tutto: ticket, tasse e pure l’illusione di avere diritto alla cura. Ogni scandalo viene archiviato con la stessa indifferenza con cui si archivia una cartella clinica. Tutti innocenti, tutti responsabili, nessun colpevole.

E allora sì, forse serve davvero tornare indietro. Non ai tempi delle sanguisughe, ma a quando la politica ci metteva la faccia. Alle vecchie USSL, quando se nominavi un incapace ne rispondevi tu. Quando la catena di comando aveva un capo, e quel capo non poteva dire “non lo sapevo”

Infine la madre di tutte le ipocrisie: l’intramoenia. Il doppio lavoro dei medici pubblici che non danno le proprie disponibilità al CUP, al mattino girovagano negli ospedali e il pomeriggio e la sera curano a pagamento. O dentro o fuori, basta col piede in due staffe. Non è solo una questione economica: è una questione di etica, di decenza, di rispetto per chi si affida al sistema pubblico e riceve solo porte chiuse e tempi infiniti.

Insomma il Piemonte non ha bisogno di altri fondi. Ha bisogno di pulizia morale, di dirigenti veri, di controlli veri, di medici presenti e politici coraggiosi. Ma soprattutto, ha bisogno di vergogna. Perché quando la salute diventa un affare, la malattia più grave non è quella dei pazienti, ma quella di chi dovrebbe curarli e invece li usa. 

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