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05 Novembre 2025 - 18:37
Il cantiere sul ponte sul Po
C’è una mozione che prova a mettere ordine nel caos. Porta la firma del gruppo consiliare Per Brusasco e Marcorengo di Anna Marolo, Carlo Giacometto e Daniele Testore e chiede una cosa semplice, quasi banale: che la Città Metropolitana di Torino acceleri i lavori sul ponte della provinciale 107, quello che unisce Verrua Savoia a Crescentino passando sopra il Po.
Ma dietro quella formula amministrativa si nasconde una frustrazione che da mesi ribolle, a colpi di post, lamentele, e file interminabili di auto ferme davanti ai semafori.
L'ultima stasera, mercoledì 5 novembre, quando un incidente sulla SP31bis a Verolengo ha costretto la chiusura della strada e deviato tutto il traffico in collina e, appunto, sul ponte.
La mozione, depositata il 3 novembre 2025, parla di “ritardo sensibile rispetto al cronoprogramma” e di “forti disagi alla viabilità locale e intercomunale”.
Chiede all’Amministrazione di Brusasco di intervenire presso la Città Metropolitana e la Prefettura di Torino per sollecitare verifiche, potenziamenti e persino turni notturni. Una richiesta che suona più come un grido d’allarme: perché se i lavori sono iniziati a giugno 2025 e dovevano durare 18 mesi, il rischio concreto è che il ponte non sia pronto prima della fine del 2026, o più verosimilmente a inizio 2027.
Sei milioni di euro, due piste ciclabili, e un cantiere che sembra muoversi al rallentatore.
Già oggi, i tempi previsti appaiono ottimistici. Il cronoprogramma ufficiale della Città Metropolitana – redatto dagli ingegneri Candiano, Serritella, Zagardo e Gravina sotto la direzione del RUP Matteo Tizzani – fissa in 548 giorni la durata complessiva, includendo trenta giorni di possibile stop per maltempo. Ma le settimane si allungano, il traffico si ingolfa e la pazienza dei cittadini evapora.
Il sindaco di Verrua Savoia Mauro Castelli lo aveva detto già a settembre, in una lettera ufficiale alla Città Metropolitana: “Il semaforo non funziona, gli automobilisti non lo rispettano, e il ponte è diventato un percorso a ostacoli.” Il problema, spiegava Castelli, è che le telecamere non multano: riprendono soltanto, senza sanzionare chi passa col rosso. E mentre qualcuno aspetta, qualcun altro rischia.
La sua richiesta era duplice: un secondo semaforo sincronizzato – per gestire la svolta verso Brusasco – e un ritmo più sostenuto del cantiere, con doppi turni finché il clima lo consentiva. “Perché l’autunno arriva in fretta e l’inverno non aspetta.”
La risposta della Città Metropolitana è arrivata il 30 settembre. Il messaggio è chiaro: nessuna criticità urgente, i disagi dipendono in gran parte “dal comportamento incivile degli automobilisti” e non da errori di gestione. Un modo elegante per dire: non è colpa nostra.
Certo, ammettono i tecnici, la ditta ha lavorato con organico ridotto, ma è già stata “convocata per un aggiornamento” e invitata a potenziare le squadre. Tradotto: la colpa del rallentamento ricade sui lavoratori, non sugli uffici.
Ma la parte più significativa della lettera è un’altra, e spiega perché la mozione di Brusasco nasce proprio ora. L’opera – si legge – era stata inizialmente progettata con la chiusura totale del ponte, soluzione che avrebbe consentito di completare i lavori più in fretta. Poi, in conferenza dei servizi, la politica ha deciso diversamente: mantenere il collegamento, anche a costo di complicare tutto. Una scelta “di contemperamento” con le esigenze dei Comuni e del consorzio C.C.A.M., che ha trasformato un cantiere tecnico in un labirinto amministrativo.
Oggi quel compromesso pesa come un macigno. Il traffico scorre a senso unico alternato, regolato da tre semafori, e i conducenti si arrangiano tra frenate, colpi di clacson e code chilometriche.
Sui social, la rabbia è esplosa.
Nel gruppo Comprensorio Crescentino–Verrua, un post del 31 ottobre di un residente sintetizza lo stato d’animo generale: “34 minuti per fare pochi chilometri. Sei mesi di lavori e non è stato completato nemmeno il 10%. Una squadra di oranghi farebbe prima.” I commenti si moltiplicano: «Non si vede mai nessuno lavorare», «Tenere in scacco la popolazione per una ciclabile è da idioti», «In Italia siamo un Paese di pecore».
C’è chi accusa la Città Metropolitana di non pagare la ditta, chi evoca “fondi dirottati al Sud” e chi invita a smettere di fare propaganda. Ma il punto, ormai, è un altro: la fiducia è finita.
“Il problema è la lentezza dei lavori”, risponde secco un utente, dopo che un altro aveva denunciato automobilisti che passano col rosso. E in fondo, è la frase che riassume tutto.
Intanto, il cantiere avanza tra mille difficoltà tecniche. Il progetto prevede non solo il risanamento strutturale del ponte, ma anche la realizzazione di due piste ciclopedonali laterali, una su ciascun lato. Una scelta che ha moltiplicato la complessità. Le tavole progettuali mostrano mensole d’acciaio saldate all’impalcato esistente, parapetti in ferro lavorato, e barriere di sicurezza stradale separate dai percorsi pedonali. Un lavoro di precisione, da officina più che da cantiere, dove ogni operazione va fatta in sequenza e senza compromettere la stabilità della struttura storica.


Le piste ciclabili nel progetto della Città Metropolitana di Torino
La pista ciclabile è il simbolo della mobilità sostenibile che la Città Metropolitana vuole promuovere, ma in un contesto del genere rischia di diventare il capro espiatorio perfetto: un lusso che rallenta tutto.
L’intervento architettonico è raffinato, coerente con l’immagine originaria del ponte: illuminazione a doppio braccio, parapetti decorati, continuità dei materiali con i paramenti in mattoni e pietra. Ma la realtà è che la fase di montaggio delle mensole metalliche e il loro ancoraggio alla soletta in calcestruzzo richiedono tempi lunghi e condizioni di sicurezza che non consentono scorciatoie.
Eppure, mentre le giustificazioni tecniche si accumulano, le auto continuano a fermarsi. Chi parte da Crescentino e deve andare verso Brusasco o Verrua calcola almeno venti minuti di attesa a ogni passaggio. Nelle ore di punta, diventano trenta.
Le imprese locali lamentano ritardi nelle consegne e clienti che rinunciano a passare “di là”. I pendolari ormai partono con mezz’ora d’anticipo.
E mentre tutto questo succede, la politica locale tiene un profilo basso, bassissimo, che la minoranza di Brusasco sta cercando di stanare nell'interesse di una popolazione, quella collinare e quella crescentinese, che conta qualche migliaio di cittadini residenti.
La mozione di Brusasco prova a spostare la questione sul piano istituzionale: chiede che il Comune si faccia portavoce dei disagi e pretenda trasparenza sui tempi reali del cantiere. Vuole un aggiornamento ufficiale sullo stato di avanzamento, la verifica della pianificazione e, soprattutto, un impegno formale per recuperare i ritardi accumulati.
Ma la domanda resta: basterà una mozione a cambiare l’inerzia di un’opera che sembra andare al passo di un pedone?
Il cronoprogramma dice “dicembre 2026”, ma la realtà suggerisce che a tagliare il nastro sarà chi avrà ancora la pazienza di crederci.
Nel frattempo, i cittadini si arrangiano tra i semafori, le code, gli imprevisti e si, è il caso di dirlo, pure le bestemmie...
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