AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
05 Novembre 2025 - 18:15
Sopravvissuto a Mauthausen, oggi compie 100 anni: la vita straordinaria di Santino Vanzaghi, il ragazzo che disse “no” al fascismo
Cento anni, una vita attraversata dalla Storia e un messaggio che non invecchia: dire “no” al male è sempre possibile.
Santino Vanzaghi, classe 1925, ha spento le sue cento candeline a Verbania, dove è nato e dove oggi vive circondato dall’affetto della famiglia, dei concittadini e delle istituzioni. Ma dietro quel sorriso lucido e gentile si nasconde una delle pagine più dure e insieme più luminose del Novecento italiano: quella di un ragazzo che rifiutò l’arruolamento nell’esercito fascista e per questo finì deportato nel campo di concentramento di Mauthausen, uno dei più terribili della macchina di sterminio nazista.
Aveva solo diciotto anni, lavorava come linotipista a Pallanza, nel Verbano, quando i fascisti lo raggiunsero con l’ordine di leva. Era il 1943, l’Italia era spaccata in due e la Repubblica Sociale di Mussolini aveva bisogno di uomini da mandare al fronte. Santino rifiutò. Non per eroismo, avrebbe poi raccontato, ma per coscienza: «Non potevo combattere per chi aveva tolto libertà e dignità a un popolo». Quel “no” bastò a marchiarlo. Venne arrestato, internato e infine deportato nei campi di concentramento austriaci.
A Mauthausen, Vanzaghi scoprì la disumanità quotidiana del sistema nazista. Lavori forzati, fame, malattie, punizioni, esecuzioni sommarie. Il campo, costruito su una cava di granito, era un luogo pensato per spezzare le persone. Molti dei suoi compagni non tornarono. Lui sì, per un misto di fortuna, forza e volontà. Quando gli Alleati liberarono il campo, nel maggio 1945, pesava meno di 40 chili. Tornò a casa in treno, o meglio, su uno di quei convogli di reduci che riportavano lentamente in Italia le ombre dei deportati.
La guerra era finita, ma per lui cominciava un’altra impresa: ricostruire la vita. A Verbania trovò lavoro alla Montecatini, una delle grandi fabbriche chimiche del Nord, e ne scalò i ruoli fino a diventare responsabile della filatura. Lì, tra turni e macchinari, conobbe Antoniazza Arveda, la donna che sarebbe diventata sua moglie, e con lei costruì una famiglia, due figli — Oriana e Rinaldo — e la serenità che gli anni di guerra gli avevano negato.
Ma non smise mai di parlare. Negli anni successivi, Vanzaghi capì che il silenzio avrebbe ucciso due volte. Partecipò alle cerimonie del 25 aprile, incontrò studenti, collaborò con associazioni partigiane e istituzioni locali per tenere viva la memoria della deportazione. Non come retorica, ma come responsabilità. Raccontava ai ragazzi che la libertà non è mai scontata e che ogni scelta, anche la più semplice, può diventare un atto di coraggio.
Alla festa per i suoi cento anni, organizzata dal Comune di Verbania con la partecipazione di amici e conoscenti, l’assessora alle Politiche sociali Katiuscia Zucco ha ricordato quanto la sua storia sia ancora un patrimonio civile: «È un pezzo prezioso della nostra storia collettiva, un uomo che ha conosciuto l’inferno e ha scelto di tornare per costruire il bene». Le sue parole hanno trovato eco in tutta la comunità: un applauso lungo, carico di emozione, ha accompagnato Santino mentre spegneva le candeline, come se quel gesto fosse, ancora una volta, un simbolo di resistenza.
Negli ultimi anni, la vita di Vanzaghi è diventata anche materia di studio nelle scuole del Verbano-Cusio-Ossola. Alcune classi hanno ricostruito la sua biografia nei progetti sulla memoria della Shoah e della deportazione politica, inserendolo tra i testimoni locali di un’Italia che seppe dire no all’orrore. La sua storia personale, intrecciata a quella del lavoro, della ricostruzione e della dignità operaia, mostra come la libertà non sia un dono ma un impegno da rinnovare ogni giorno.
Chi lo ha incontrato racconta che parla poco di sé, ma con una lucidità straordinaria. Ricorda i volti, i nomi, i compagni che non tornarono. E ogni volta che pronuncia la parola “Mauthausen”, la scandisce lentamente, come a ricordare che dietro quelle sillabe ci sono vite, non numeri.
A cent’anni, Santino Vanzaghi non chiede onori né medaglie. Chiede solo che i giovani non dimentichino. Il suo “no” al fascismo, pronunciato a diciotto anni, risuona oggi come una lezione morale in un tempo in cui le parole memoria e libertà rischiano di sembrare lontane.
E così, mentre Verbania lo festeggia, la sua storia continua a parlare. Perché la memoria, come la vita, si tiene viva solo se la si tramanda. E la voce di Santino, ferma e umile, è la voce di un secolo che ha visto tutto — la guerra, la fame, la paura, ma anche la rinascita — e che oggi, con serenità, ci ricorda una verità essenziale: la libertà, quando si conquista, non si possiede. Si custodisce.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.