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La censura del convegno per docenti innesca proteste in oltre 40 piazze italiane. A Torino il presidio: "Basta accordi con Leonardo. Le armi non le vogliamo".

L’iniziativa aveva raccolto oltre 1.200 firme. Organizzazioni, studenti e sindacati in piazza per riconoscere il valore dei temi della pace e del disarmo

La mancata validazione del convegno per docenti innesca proteste in 40 piazze italiane. A Torino il presidio: "Basta accordi con Leonardo. Le armi non le vogliamo".

La decisione del Ministero dell'Istruzione e del Merito (Mim) di non riconoscere come attività di formazione ufficiale il corso intitolato "4 novembre – La scuola non si arruola" ha innescato una polemica nel mondo dell'istruzione. L'iniziativa, promossa dal Cestes e dall'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, era stata pianificata per il 4 novembre, data che celebra la Giornata dell'Unità nazionale e delle Forze armate, e aveva visto l'iscrizione di oltre 1.200 tra docenti e operatori educativi.

L'iniziativa, a cui hanno comunque partecipato più di 100 persone, si prefiggeva di aprire una riflessione critica sulla crescente presenza di attività e di riflessioni connesse all’ambito militare all'interno degli istituti scolastici, proponendo un'educazione alla pace e al disarmo. Gli organizzatori avevano presentato il corso come un'attività formativa riconosciuta ai sensi della Direttiva 170/2016, che regola l'accreditamento. Il Mim ha però negato il riconoscimento, motivando la scelta con la convinzione che il corso avesse finalità politiche e non professionali.

Il Ministro Giuseppe Valditara ha precisato che non si è trattato di un divieto di svolgimento del corso, ma semplicemente della mancata concessione di finanziamento pubblico tramite l'esonero dal servizio. In sostanza, gli insegnanti interessati non hanno potuto partecipare durante l'orario di servizio né beneficiare dell'esonero retribuito previsto per le attività formative ufficiali. 

Studenti, organizzazioni e sindacati hanno quindi contestato questa argomentazione, considerandola un atto di censura e una lesione della libertà di insegnamento, ritenendo assurdo che temi come la pace e il disarmo, valori fondanti della Carta Costituzionale, possano essere considerati estranei alla formazione professionale degli insegnanti e all'educazione civica.

La contestazione si è espressa in più di 40 piazze italiane. A Torino, è stato organizzato un presidio di fronte all’Ufficio Scolastico Regionale di Corso Vittorio Emanuele II 70, che ha incontrato una delegazione di attivisti, docenti e studenti. “Usciamo da questo incontro senza una risposta chiara” ha commentato un rappresentante del gruppo di studenti. “L’atteggiamento è stato di ascolto, ma non di condivisione – ha aggiunto un’insegnante – ci è stato detto che i docenti possono scegliere l’offerta formativa e che quindi la responsabilità di attività militarizzate dipende dai collegi docenti. Noi sappiamo che c’è un problema di svuotamento del potere dei collegi docenti. Quindi credo che ci sia veramente bisogno da parte degli insegnanti di un lavoro di costante monitoraggio di quello che succede nelle scuole. C’è bisogno di riprendere l’autonomia docente per quanto riguarda le scelte didattiche”. 

In attesa dell’esito dell’incontro, davanti al civico 70, sbarrato da un cordone di polizia, si sono susseguiti una serie di interventi che hanno ricollegato la censura del convegno ad altri temi che alimentano il dibattito pubblico: dalla questione del riarmo in Europa, al genocidio in Palestina, alla crescente introduzione di argomenti e azioni legati all’ambito militare all’interno degli spazi educativi. 

A questo proposito, la delegata dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha aperto il presidio ricordando che “nello stesso momento in cui veniva censurato il nostro convegno, a Milano si teneva un PCTO in cui i ragazzi imparavano a sparare con le mitragliette”. Il riferimento è all’evento Expo Training, organizzato il 31 ottobre a Rho Fiera Milano, dove un agente della Polizia penitenziaria dello stand “Baschi Azzurri” ha spiegato ad un gruppo di studenti come fare fuoco con una mitraglietta Beretta M12. “La censura per Milano non c'è, la censura per chi vuole parlare di educazione di pace c’è. È per questo che noi siamo qua oggi” ha concluso.

Sul fronte locale, un referente di Cobas scuola ha rievocato l’episodio di repressione avvenuta nei confronti degli studenti del Liceo Einstein di Torino. A questo proposito, è intervenuto anche il rappresentante d’istituto, che ha commentato: “noi studenti abbiamo detto di no a dei volantini che promuovevano odio e violenza e la risposta delle forze dell’ordine è stata ben chiara. Siamo stati manganellati e arrestati. Abbiamo quindi deciso di occupare per dire che non siamo d’accordo con questo comportamento. Noi, le armi nelle scuole non le vogliamo!”.

Il militarismo nelle scuole non è evocato solo dalla presenza della polizia nelle scuole e dalla repressione subita dai movimenti studenteschi, ma anche dai diversi accordi che gli istituti stipulano con società e aziende che operano nell’ambito militare. Lo ricorda un altro studente intervenuto, che ha denunciato l’attivazione del programma di formazione scuola-lavoro tra l’istituto che frequenta e la Leonardo spa, l’azienda italiana che opera nel settore della difesa, uno dei principali produttori di armi dell’Unione Europea. 

Sempre dal fronte studentesco è stata ribadita la necessità di mobilitarsi per una università libera da interessi bellicisti. “È gravissima la censura di un’iniziativa che voleva parlare di guerra e del ruolo dell’Occidente e della formazione in questo. Noi conosciamo bene la militarizzazione perché i nostri atenei sono pieni di accordi con lo Stato sionista di Israele” ha commentato una studente del collettivo Cambiare Rotta.

“La giornata di oggi ha la funzione di ricordarci che ogni giorno la scuola deve svolgere un'altra funzione. Che non c'è nulla da festeggiare, che studiare la Prima guerra mondiale significa ricordarsi del primo immane massacro a livello continentale di una popolazione che non voleva essere trascinata in guerra. C’è tanto da imparare, poco da festeggiare” ha concluso il rappresentante di Cestes.

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