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29 Ottobre 2025 - 13:56
Al liceo Einstein di Torino scatta l’occupazione. Gli studenti: "Non possiamo più aspettare"
All’Einstein di Torino la mattina del 29 ottobre si è aperta con porte sbarrate e cartelli alle finestre: è scattata l’occupazione. Dopo tre giorni di tensione, assemblee e accuse reciproche, il collettivo studentesco ha deciso di prendere possesso dell’istituto di via Pacchiotti, proclamando che «oggi non possiamo più aspettare».
Il comunicato, pubblicato nella mattinata su Instagram, è inequivocabile. «Occupiamo l’Einstein – scrivono gli studenti –. Sono stati giorni concitati quelli che hanno preceduto questa scelta, ma oggi non possiamo più aspettare. Nella giornata di lunedì decine di poliziotti, con un’azione squadrista degna di un regime, sono venuti davanti alla nostra scuola in occasione di un volantinaggio razzista e xenofobo di Gioventù Nazionale, picchiando studenti in assetto antisommossa e portando in questura un nostro compagno per il solo motivo di essersi espresso contro la presenza di fascisti e polizia davanti all’istituto».
Il riferimento è a quanto accaduto lunedì 27 ottobre, quando alcuni militanti di Gioventù Nazionale, movimento giovanile di Fratelli d’Italia, avevano organizzato un volantinaggio davanti alla scuola. L’iniziativa, rivendicata dal gruppo come “informativa” e definita invece dal collettivo “provocatoria e razzista”, aveva attirato un forte presidio di studenti e di realtà antifasciste. La situazione era degenerata in momenti di tensione, culminati con l’intervento della polizia in assetto antisommossa.
Secondo quanto riportato da La Voce, un sedicenne era stato fermato e portato in questura, con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. Gli studenti parlano invece di una carica immotivata, denunciando che «la polizia ha manganellato davanti alla scuola, colpendo minorenni». Il caso, nel giro di poche ore, era diventato nazionale.
Da martedì si erano moltiplicati gli attestati di solidarietà: centinaia di scuole in tutta Italia avevano esposto striscioni con la scritta “Fuori la polizia dalle scuole”, e coordinamenti di docenti, sindacati e collettivi universitari avevano condannato «l’uso della forza in un luogo che dovrebbe essere di formazione e confronto, non di repressione».
«Per due giorni abbiamo ricevuto solidarietà da ogni angolo del paese – prosegue il comunicato –. Coordinamenti di professori, sindacati e partiti hanno condannato l’iniziativa muscolare delle forze dell’ordine e del governo Meloni nel suo tentativo di normalizzare la militarizzazione delle scuole, in vista di un crescente riarmo». Un passaggio che chiarisce la lettura politica della protesta: non solo la denuncia dell’episodio di lunedì, ma una critica al rapporto sempre più stretto tra scuola, ordine pubblico e politiche di difesa.
Ma nel mirino del collettivo è finita anche la dirigenza scolastica. «Il nostro preside, Marco Michele Chiauzza, non si è degnato in due giorni di mobilitazione di rivolgersi a studenti e studentesse, concedendo con molto sforzo due ore di presenza fuori aula – accusano gli studenti –. Sapeva benissimo dell’ingente dispiegamento di forze del disordine, come lui stesso ha ricordato in una vergognosa circolare pubblicata martedì».
L’accusa è quella di un silenzio istituzionale che avrebbe aggravato la distanza tra studenti e vertici scolastici. Da parte del preside, al momento, non è arrivata alcuna replica pubblica, ma la circolare citata dal collettivo – in cui si invita alla calma e si chiede “di evitare comportamenti che possano degenerare” – è stata letta dai ragazzi come un tentativo di minimizzare quanto accaduto.
Fuori dai cancelli, l’occupazione è stata accolta da presìdi di solidarietà e da un via vai di studenti, ex alunni e docenti. Dalle finestre dell’edificio sono comparsi una bandiera palestinese e uno striscione con la scritta “Einstein Antifa”.
La tensione, intanto, resta alta anche sul piano politico. Il consigliere regionale Raffaele Marascio di Fratelli d’Italia ha parlato di «violenza intollerabile», accusando gli studenti di aver aggredito i militanti di Gioventù Nazionale: «Sono stati insultati e strattonati solo per aver espresso le proprie idee». L’eurodeputato Giovanni Crosetto ha rincarato la dose: «È inaccettabile che nel 2025 ci siano ancora ambienti scolastici dove si pretende di imporre il pensiero unico con la forza».
Dall’altra parte, la sinistra ha espresso sdegno per le immagini delle cariche. Chiara Gribaudo, deputata del Partito Democratico, ha dichiarato che «quando si manganellano minorenni si varca una linea che lo Stato non dovrebbe mai oltrepassare». Anche la consigliera regionale Nadia Conticelli ha parlato di «scene indegne davanti a una scuola pubblica».
In mezzo, il corpo docente, in bilico tra il dovere di garantire la didattica e la consapevolezza di vivere un momento delicato. Alcuni professori hanno espresso solidarietà agli studenti, altri preoccupazione per il clima di scontro che rischia di compromettere il dialogo educativo.

L’occupazione, decisa dopo un’assemblea permanente durata due giorni, è stata preparata in modo organizzato. Nella serata di martedì gli studenti avevano lanciato un appello a “portare sacchi a pelo, viveri e strumenti musicali”. Le lezioni sono sospese e il liceo è diventato un luogo di confronto e autogestione. All’interno si tengono dibattiti, assemblee, momenti di discussione sulle politiche scolastiche e sull’attualità internazionale.
Il movimento studentesco torinese, che negli ultimi mesi aveva già manifestato su temi come la Palestina e la sicurezza degli edifici, trova in questa occupazione un punto di svolta. «La scuola deve tornare a essere spazio libero e politico», affermano i ragazzi, «non terreno di controllo e disciplina».
La loro denuncia va oltre l’episodio di lunedì. Nelle parole del collettivo si legge una rivendicazione generazionale: contro la violenza, ma anche contro una scuola percepita come “burocratica e silente”, incapace di dare voce ai giovani. In un passaggio del loro comunicato, scrivono: «La solidarietà ha scavalcato qualsiasi muro eretto in nome del profitto e del disciplinamento».
Il caso Einstein è destinato a pesare nel dibattito politico. Dopo mesi in cui le proteste studentesche si erano concentrate su Gaza, clima e sicurezza edilizia, il liceo torinese riporta al centro il tema del diritto di dissenso e del ruolo della polizia negli spazi educativi. Il gesto dei ragazzi è insieme provocazione e grido d’allarme: l’idea che la scuola non possa restare neutra davanti a un contesto sociale e politico che si fa sempre più teso.
Nella giornata di giovedì, una delegazione di genitori e docenti incontrerà il dirigente per valutare i prossimi passi. Intanto, l’occupazione continua, tra cori, dibattiti e assemblee. «Questa scuola è di chi la vive ogni giorno, non di chi la sorveglia», si legge su uno degli striscioni appesi al cancello.
Fuori, i passanti si fermano a guardare. Dentro, gli studenti discutono, dormono sui materassini, organizzano turni e attività. Non è solo una protesta, ma un atto politico che scuote la città e interroga le istituzioni.
A distanza di diciassette anni dalle prime mobilitazioni contro la “riforma Gelmini”, Torino torna a essere epicentro di una stagione studentesca che mette in discussione la relazione tra giovani e potere. E all’Einstein, dove tutto è cominciato con un volantinaggio e una carica, oggi si parla di scuola, libertà e diritti, nel modo più radicale possibile: occupandola.
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