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Insulti e accuse di “stregoneria” all’Onu contro Francesca Albanese: la diplomazia sprofonda nel Medioevo

Israele la definisce “una strega fallita”, l’Italia ne mette in dubbio l’imparzialità. La giurista replica e incanta l’aula del Third Committee

Insulti e accuse di “stregoneria”

Insulti e accuse di “stregoneria” all’Onu contro Francesca Albanese

Nel 2025, in un consesso che dovrebbe rappresentare il vertice della diplomazia mondiale, c’è chi ricorre ancora al linguaggio dell’Inquisizione. È accaduto a New York, durante la presentazione del rapporto “Genocidio a Gaza: un crimine collettivo” della giurista Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Un documento di ventiquattro pagine che accusa sessantatré Stati di complicità nel sistematico strangolamento di Gaza, “affamata e distrutta”. Ma la sostanza è finita presto travolta dal linguaggio violento e derisorio di alcuni delegati, tra cui quello israeliano, che l’ha insultata in aula chiamandola “una strega fallita”.

Un episodio che, per la sua gravità simbolica, segna un punto di non ritorno nella decadenza del linguaggio diplomatico. Come se, nel XXI secolo, fosse accettabile delegittimare un’analisi giuridica evocando maledizioni e libri degli incantesimi. Cosa sarà il prossimo passo — riaprire i tribunali dell’Inquisizione?

Il primo a intervenire nel Third Committee dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, presieduto dal thailandese Cherdchai Chaivaivid, è stato Danny Danon, rappresentante permanente di Israele e membro del Likud. Con toni più da comizio che da seduta ONU, ha attaccato Albanese accusandola di “retorica antisemita e calunnie sanguinose”, di “difendere i terroristi” e di mostrare “disprezzo per Israele, gli Stati Uniti e l’Occidente”. Poi, la frase che ha fatto gelare la sala: «Signora Albanese, lei è una strega. Questo rapporto è un’altra pagina del suo libro degli incantesimi. Ogni accusa è un incantesimo che non funziona, perché lei è una strega fallita».

Danon ha poi aggiunto con compiacimento che le sanzioni statunitensi a suo carico sono la prova della sua colpa: «Ora dirige le sue maledizioni verso altre nazioni, i nostri alleati, partner e amici che sostengono la democrazia e lo Stato di diritto. Possano le sue maledizioni continuare a ritorcersi contro». Una performance che ha scandalizzato gran parte dell’aula e imbarazzato lo stesso presidente di seduta.

Se il linguaggio di Israele ha toccato il fondo, quello dell’Italia non è stato molto più alto. Il rappresentante permanente Maurizio Massari, nel suo intervento, ha definito il rapporto “privo di credibilità e imparzialità”, accusando la relatrice di aver “superato palesemente il proprio mandato” e di aver ignorato “integrità, buona fede e codice di condotta”. Parole che, in un momento tanto teso, hanno segnato il distacco più netto possibile tra il governo italiano e una sua cittadina impegnata in un ruolo internazionale di prestigio.

L’intervento di Massari è stato interrotto per alcuni secondi dal presidente, che ha spento il microfono, lasciando l’ambasciatore parlare nel vuoto. Un gesto simbolico che molti hanno interpretato come il riflesso dell’irrilevanza di una posizione più allineata che autonoma.

Anche l’Ungheria ha fatto eco, accusando Albanese di “pregiudizio anti-israeliano” e invocando la “linea di pace del presidente Trump” come unica soluzione “realistica”. Un intervento che ha ribadito, se mai servisse, il ritorno a un ordine internazionale di blocchi, dove la verità si misura a seconda dell’alleanza.

Francesca Albanese, collegata da Città del Capo, dove si trova per la Nelson Mandela Annual Lecture, ha replicato con voce ferma ma senza alzare i toni. «Finalmente il rappresentante di Israele, dopo tre anni, ha onorato questo mandato della sua presenza. È grottesco e francamente delirante che uno Stato genocida non possa rispondere alla sostanza delle mie scoperte e la cosa migliore a cui ricorre è accusarmi di stregoneria. E così sia: quelli accusati di genocidio siete voi. Se la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma se avessi il potere di fare incantesimi, lo userei per fermare i vostri crimini una volta per tutte».

Poi, con tono più grave, ha aggiunto: «Voglio che tra il fiume e il mare ebrei, musulmani, cristiani e laici vivano in libertà e godano dei loro diritti. Mi sorprende che l’Italia, mio Paese d’origine, si unisca a un coro privo di fondamento. Avreste dovuto citare esempi concreti, invece recitate i punti dell’ambasciatore israeliano».

L’intervento si è chiuso con parole che hanno capovolto la logica degli insulti: «Ciò che Israele ha costruito è un ordine coloniale di dominio razziale. Ma il Sudafrica dimostra che ciò che sembra invincibile può essere spezzato. I muri più forti cadono, e in questa oscurità milioni stanno resistendo. Scintille di speranza».

Al termine, l’aula si è alzata in un lungo applauso. L’immagine di una relatrice italiana accusata di “stregoneria” all’interno del palazzo di vetro delle Nazioni Unite resta come un simbolo inquietante del collasso culturale e morale di una parte della diplomazia mondiale. Nel 2025, mentre il mondo affronta crisi e guerre, evocare incantesimi e maledizioni per screditare un rapporto ONU non è solo inappropriato: è ignorante, pericoloso e profondamente indegno del luogo in cui è stato pronunciato.

Francesca Albanese: profilo

Nata ad Ariano Irpino (Campania) il 30 marzo 1977, Francesca Albanese è una giurista e accademica italiana specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza con lode presso l’Università di Pisa e un master (LLM) in diritti umani presso la SOAS University of London.

Dal 1° maggio 2022 è nominata Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati (Occupied Palestinian Territories, oPt), prima donna e seconda italiana a ricoprire tale incarico.
Nel suo ruolo, ha prodotto rapporti nei quali accusa l’Gaza e i territori occupati di essere soggetti a un regime di occupazione che definisce «coloniale», con richiami al concetto di «apartheid».

Albanese ha lavorato nella sfera accademica e come consulente su tematiche legate a rifugiati, migrazioni forzate e diritti vulnerabili. È autrice di importanti pubblicazioni, tra cui Palestinian Refugees in International Law (Oxford University Press, 2020). Nel suo mandato ONU ha chiesto un piano per porre fine all’occupazione israeliana e al regime che lei qualifica di apartheid.

Il suo operato è diventato oggetto di forte contestazione da parte di diversi Stati. Critiche nei suoi confronti parlano di pregiudizio anti-israeliano e dell’inopportunità del suo approccio.
Nel luglio 2025 gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni nei suoi confronti citando il suo rapporto che coinvolgeva aziende americane.

Francesca Albanese è oggi un volto molto significativo nel campo dei diritti umani internazionale, ma anche figura polarizzante: da una parte riconosciuta per il suo impegno, dall’altra criticata per i metodi e le conclusioni del suo mandato.

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