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18 Ottobre 2025 - 15:44
Gianni Agnelli
In un’intervista rilasciata al telegiornale TG3, Lupo Rattazzi – imprenditore, presidente di Neos Air (compagnia del gruppo Alpitour) e cugino di Edoardo Agnelli – ha offerto una rilettura personale e inedita delle dinamiche che hanno preceduto la morte prematura del figlio dell’Avvocato Gianni Agnelli, raccontando retroscena familiari, tensioni latenti e gesti “non detti” che, a suo avviso, hanno inciso in modo determinante.
Figlio di Susanna Agnelli (prima donna ministro degli Esteri d’Italia e sorella dell’Avvocato) e di Ugo Rattazzi, discendente della storica famiglia piemontese che diede al Paese anche un presidente del Consiglio, Urbano Rattazzi, Lupo Rattazzi unisce due grandi lignaggi dell’aristocrazia e dell’industria italiana. Laureato ad Harvard, con una carriera manageriale internazionale, è da tempo una figura rispettata nel mondo economico e imprenditoriale, ma è anche noto per la sua indipendenza di pensiero e per la franchezza con cui, di tanto in tanto, commenta vicende che toccano la sua stessa famiglia.
Lupo Rattazzi
Secondo Rattazzi, Edoardo era perfettamente a conoscenza del fatto che il padre – l’Avvocato Gianni – avesse deciso di donargli una quota della storica holding di famiglia, la Dicembre S.p.A., pur non avendo Edoardo mai concretamente accettato l’operazione. Rattazzi afferma che, a differenza della sua prima strategia del 1995 — quando Edoardo si oppose — in questo secondo momento Edoardo “aveva deciso di non opporsi più”, lasciando che le intenzioni del padre andassero avanti senza ulteriori resistenze. Lupo Rattazzi ricorda quei momenti, sottolineando che “credo che lui fosse a conoscenza del fatto che suo padre aveva deciso di lasciargli la sua quota”.
Tutto prende avvio a metà degli anni Novanta, quando Edoardo rifiutò in una prima occasione la donazione della Dicembre e nel 1996 venne redatto un testamento a favore di John Elkann — conosciuto anche come “Lettera di Monaco” — scritto dall’Avvocato prima di un delicato intervento cardiaco. Rattazzi ricorda di essersi ritrovato “di sasso” quando Edoardo gli annunciò quel rifiuto: “Il dialogo non era buono tra lui e suo padre e i consiglieri del padre. Gli dissi ‘ma tu sei pazzo perché fai una cosa del genere’; mi rispose ‘non mi fido, non mi fido’”. All’Avvocato dispiaceva che Edoardo non fosse diventato socio della Dicembre e, dopo due anni di attesa, decise di fargli “lasciare la sua quota”.
Arrivando a novembre 2000, Edoardo si trovava isolato nella sua residenza, Villa Bona, poco sopra Villa Frescòt — la dimora dei genitori sulla collina torinese — e stava attraversando una fase molto critica sia dal punto di vista psicologico che fisico. Rattazzi racconta una corrispondenza presa nel momento stesso: in una mail indirizzatagli pose una domanda semplice, “come stai?”, ricevendo la risposta lapidaria: “Beh la faccio andare”. In una mail precedente, Edoardo gli aveva confidato: “la mia vera aspirazione è quella di chiudermi in un monastero”. Nei mesi immediatamente precedenti aveva manifestato forte preoccupazione per la sua situazione finanziaria — una preoccupazione che secondo Rattazzi “non aveva senso” considerato che era figlio dell’imprenditore più importante del Paese. Lupo Rattazzi osserva che il figlio dell’Avvocato “non stava bene né psicologicamente né fisicamente”.
Rattazzi attribuisce un ruolo centrale all’uso delle carte sequestrate dalla Guardia di Finanza, poi adoperate dagli avvocati della madre di Edoardo, Margherita Agnelli, nella battaglia ereditaria: “Sono certo che una volta morto l’Avvocato, in esecuzione delle volontà che lui aveva trasmesso, Donna Marella avrebbe comunque donato il suo 25 per cento della Dicembre a John Elkann, e così questi avrebbe avuto la maggioranza della società”.
Un’altra fonte di tensione rilevata da Rattazzi è la scelta di Gianni Agnelli di indicare il nipote John Elkann a guidare il gruppo Fiat — un segnale che agli occhi di Edoardo avrebbe rappresentato esclusione e inibizione.
“Ogni situazione in cui suo padre prendeva decisioni che lo escludevano dalle imprese — racconta Rattazzi — lui la viveva male. Questo gap, unito al malessere fisico, è ciò che lo ha portato alla disperazione e a quel gesto”.
In conclusione, l’intervista del TG3 restituisce l’immagine di un ragazzo problematico, fragile, che pur essendo immerso nel mondo dell’élite industriale italiana sentiva di essere escluso.
Rattazzi, che lo conosceva bene come cugino e amico, lo presenta come vittima di una dinamica familiare in cui decisioni di potere, donazioni, testamenti e successioni venivano dal suo punto di vista gestite più con riserbo che con trasparenza, e dove Edoardo — pur formalmente “destinato” a una quota — non ha mai avuto la serenità di sentirsi davvero protagonista.
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