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29 Settembre 2025 - 16:16
Giovanni Agnelli
Un colpo di scena che rischia di riscrivere la storia della dinastia più potente d’Italia. Tra le carte sequestrate dalla Procura di Torino nell’inchiesta per evasione fiscale che coinvolge John Elkann, i legali di Margherita Agnelli hanno rinvenuto un documento inedito: un testamento scritto di pugno da Gianni Agnelli e firmato nel 1998, mai reso noto prima. Un foglio che potrebbe smentire la narrazione secondo cui l’Avvocato avrebbe deciso inequivocabilmente di designare come suo erede al comando della Fiat il nipote prediletto John. Se fosse riconosciuto valido, questo testo rischierebbe di capovolgere vent’anni di equilibri costruiti attorno alla “favola Elkann”, voluta, orchestrata e difesa fino ad oggi con ogni mezzo possibile.
Secondo quanto emerso, l’avvocato Dario Trevisan, che assiste Margherita nella battaglia legale contro tre dei suoi otto figli – John, Ginevra e Lapo Elkann – intende far entrare questo documento, insieme ad altri ritrovati dai pm, nel cuore della causa civile sull’eredità. Una battaglia giudiziaria che non riguarda soltanto beni immobili e quote societarie, ma il controllo stesso dell’ex impero Fiat, simbolo di potere e influenza in Italia e all’estero.
Fino a ieri la ricostruzione ufficiale si reggeva sull’architettura giuridica costruita da due figure centrali: Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, i grandi consiglieri della famiglia, entrambi oggi scomparsi. Furono loro a gestire la transizione del potere, convincendo la vedova Marella Caracciolo a firmare nel 2004 l’accordo ereditario che oggi Margherita contesta davanti ai giudici. Un accordo stipulato in Svizzera, che secondo l’accusa viola le regole successorie italiane e che avrebbe permesso di blindare il potere della nuova generazione Elkann. Tutto questo, hanno sempre ribadito i legali del presidente di Stellantis, in perfetta continuità con le volontà di Gianni. Ma quel foglio del 1998, riemerso come un fantasma dal passato, sembra raccontare una storia diversa.
Non va dimenticato che alla base dell’intera operazione vi è un altro documento: il testamento che Gianni Agnelli firmò a Monaco, prima di un delicato intervento al cuore. In quelle disposizioni l’Avvocato sottraeva le quote di controllo della Fiat al figlio Edoardo, morto poi suicida nel 2000, per trasferirle a un giovanissimo John Elkann. Un passaggio decisivo, divenuto negli anni la pietra angolare della legittimazione del nipote alla guida della holding di famiglia. Eppure, secondo gli avvocati di Margherita, lo scritto successivo del 1998 avrebbe rimesso tutto in discussione, ridisegnando le volontà dell’Avvocato in una direzione ben diversa da quella narrata finora. Sarà il giudice civile a dover stabilire se questo documento potrà realmente scardinare gli assetti consolidati.
Durante l’udienza non sono mancati particolari di colore che raccontano quanto la partita si giochi anche sui dettagli della vita quotidiana. È stato sentito, ad esempio, uno dei giardinieri delle residenze Agnelli, indicato dai legali di Margherita come una voce utile a dimostrare che la regia delle attività nelle dimore italiane era ancora in mano a Marella Caracciolo, che trascorreva qui la maggior parte dell’anno. Una circostanza tutt’altro che marginale: se fosse riconosciuta, rafforzerebbe la tesi che la residenza fiscale della vedova fosse in Italia e non in Svizzera, smontando di fatto la validità degli accordi del 2004 e aprendo la strada a un clamoroso rimescolamento degli assetti patrimoniali.
ALLEGRA CARACCIOLO DI CASTAGNETO AGNELLI e MARGHERITA AGNELLI DE PAHLEN
La partita non si gioca però soltanto nelle aule civili. Sul fronte penale resta aperta l’inchiesta della Procura di Torino per evasione fiscale, che coinvolge direttamente John Elkann e che potrebbe chiudersi con la “messa alla prova”, previa definizione del debito tributario. Il sequestro preventivo di circa 74,8 milioni di euro disposto nei confronti degli eredi Elkann è stato confermato dalla Cassazione, mentre la Procura ha già dato parere favorevole a una soluzione alternativa, purché il presidente di Stellantis versi oltre 180 milioni di euro per estinguere il contenzioso. Una decisione attesa per fine ottobre, che si intreccia inesorabilmente con la causa civile sull’eredità.
Tutta la vicenda si lega inoltre al controverso accordo del 2004, quando Margherita accettò un pacchetto di beni e liquidità in cambio della rinuncia a ogni pretesa successoria. Un’intesa raggiunta all’estero, che oggi viene messa in discussione sulla base dell’articolo 458 del codice civile italiano, che vieta patti successori stipulati su eredità non ancora aperte. Per i legali di Margherita, quell’accordo non solo era nullo, ma fu stipulato nascondendo il reale valore del patrimonio e soprattutto sfruttando la presunta residenza svizzera della vedova, oggi contestata.
Se i giudici dovessero accogliere la linea della primogenita di Gianni e Marella, gli assetti della cassaforte “Dicembre” e dell’intero universo Exor rischierebbero di essere rimessi in discussione. Non si tratterebbe solo di una guerra di carte bollate, ma di un terremoto capace di scuotere le fondamenta del capitalismo italiano ed europeo, con conseguenze che andrebbero ben oltre le mura di casa Agnelli.
È in questo crocevia, tra diritto penale e diritto successorio, tra testamenti riemersi dal nulla e vecchi accordi contestati, che si scrive l’ennesimo capitolo della saga Agnelli. Una saga che, a più di vent’anni dalla morte dell’Avvocato, non smette di produrre colpi di scena, rivelazioni e smentite, come se il mito stesso dell’uomo che ha incarnato l’Italia del Novecento fosse ancora oggi conteso, difeso e rimesso in discussione nei tribunali.
Per capire il peso del documento riemerso oggi bisogna tornare indietro di oltre vent’anni, a quella stagione cruciale tra il 2003 e il 2004, quando la famiglia Agnelli, colpita dalla morte dell’Avvocato e dalle fragilità di un impero industriale in bilico, si trovò costretta a ridisegnare i propri equilibri interni. La scomparsa di Gianni Agnelli nel gennaio 2003 lasciò un vuoto enorme, non solo nella famiglia, ma anche nell’Italia che per decenni aveva visto nell’Avvocato il simbolo di potere, eleganza e capacità di manovra politica. Fu in quel contesto che emerse con forza la regia discreta ma implacabile di Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, gli uomini di fiducia che più di chiunque altro avevano saputo conquistare l’orecchio e la stima dell’Avvocato e di sua moglie Marella Caracciolo.
La Fiat, reduce da anni difficili, con un indebitamento pesantissimo e il rischio concreto di perdere il controllo del gruppo, aveva bisogno di una guida chiara, legittimata e giovane. La crisi industriale era talmente acuta che nel 2002 si era arrivati a stipulare un patto con General Motors, un’operazione che avrebbe potuto portare alla cessione del marchio storico torinese. Le banche premevano, il mercato chiedeva stabilità e il governo osservava con preoccupazione. In questo scenario, la scelta cadde su John Elkann, nipote ancora inesperto, ma ritenuto plasmabile e soprattutto lontano dalle fragilità e dai fantasmi che aleggiavano sugli altri membri della dinastia. Fu un’operazione chirurgica, costruita dietro le quinte con atti notarili, passaggi fiduciari, riunioni riservate e quella narrazione di ferro che avrebbe dovuto convincere tutti: Gianni aveva scelto John, senza ombra di dubbio.
Non tutti però accettarono quella versione. Già allora Margherita Agnelli, unica figlia dell’Avvocato e di Marella, mostrò insofferenza verso un’operazione che la vedeva marginalizzata e privata di ogni voce in capitolo. La primogenita denunciò più volte, anche pubblicamente, il ruolo pervasivo di Gabetti e Grande Stevens, accusati di gestire la Fiat e l’immenso patrimonio familiare come se fosse cosa loro, relegando lei a semplice spettatrice. Le tensioni esplosero definitivamente nel 2004 con la firma degli accordi ereditari in Svizzera, un pacchetto che le consegnava beni di grande valore – immobili, opere d’arte, liquidità – ma le toglieva ogni possibilità di influire sul controllo dell’impero industriale. Un accordo che oggi, a distanza di due decenni, è contestato in tribunale proprio perché stipulato fuori dai confini italiani e in contrasto con le norme del codice civile.
Ad avvelenare ulteriormente il clima familiare era arrivata, quattro anni prima, la tragedia di Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato e di Marella, trovato morto nel novembre 2000 sotto un viadotto a Fossano. Uomo fragile, tormentato, mai integrato davvero nei meccanismi di potere della dinastia, Edoardo era formalmente l’unico erede maschio diretto. La sua morte aprì definitivamente la strada a John Elkann, ma lasciò anche un’ombra pesantissima sulle dinamiche familiari. Il testamento firmato a Monaco da Gianni, che escludeva Edoardo dalle quote di controllo della Fiat, venne letto come una scelta dolorosa ma necessaria per la salvezza dell’azienda. Margherita, invece, lo visse come l’ennesimo segno di un destino scritto senza la sua voce e contro di lei, un tradimento consumato nelle stanze dove lei non era mai invitata.
Fu allora che maturò quella frattura mai ricomposta. Margherita parlò di pressioni indebite, di informazioni negate, di un disegno costruito alle sue spalle con la complicità della madre, convinta a sua volta da Gabetti e Grande Stevens. I due difesero sempre la loro linea, sostenendo di aver agito solo per eseguire fedelmente la volontà dell’Avvocato e garantire la stabilità della Fiat in un momento in cui l’Italia rischiava di perdere uno dei suoi simboli più forti. Ma la ferita rimase aperta, e da lì prese forma la battaglia che, a distanza di vent’anni, si trascina ancora oggi nelle aule di tribunale, tra testamenti contestati, residenze fiscali in discussione, accuse di donazioni fittizie e sospetti di evasione miliardaria.
Il ritrovamento del testamento del 1998 si inserisce dunque in questo solco. Non è solo un foglio che mette in dubbio la successione di John Elkann, ma un tassello che riporta al centro la domanda rimasta sospesa sin dall’inizio: la dinastia Agnelli ha davvero seguito le volontà dell’Avvocato, o la regia di Grande Stevens e Gabetti ha imposto un futuro diverso da quello che Gianni immaginava? Una domanda che oggi, con questo documento nelle mani dei giudici, torna a bruciare più che mai e che rischia di riaprire una stagione di scontri familiari e polemiche pubbliche come non se ne vedevano dai tempi del crollo della Fiat dei primi anni Duemila.
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