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15 Ottobre 2025 - 01:22
Donald Trump e Giorgia Meloni
Negli Stati Uniti, dove i libri politici spuntano come funghi in campagna elettorale, è arrivato anche “I Am Giorgia: My Roots, My Principles”, la versione americana dell’autobiografia di Giorgia Meloni. Costa 21,94 dollari...
Un volume che promette di spiegare all’America chi è la premier italiana e come si diventa patrioti di successo partendo da Garbatella e arrivando fino a Palazzo Chigi. Ma l’operazione editoriale ha subito preso una piega degna di una soap politica transatlantica: la prefazione è firmata Donald Trump Jr., mentre la promozione la fa direttamente papà Donald, che su Truth Social ha invitato i suoi seguaci a “correre in libreria” per comprare il libro della sua nuova eroina italiana.
E così, mentre negli States impazzano i dibattiti su aborto, armi e confini, ecco spuntare un nuovo totem della destra globale: la Meloni, tradotta, impaginata e benedetta dal trumpismo. Una specie di Manuale del perfetto sovranista in salsa mediterranea, con copertina patriottica e tanto di bandierine incrociate tra Italia e USA.
L’editore, Skyhorse Publishing, lo stesso che aveva curato le memorie di Melania Trump, ha fiutato il colpo: se ha funzionato una volta, perché non replicare con un’altra “first lady”, solo un po’ più tosta?
Nel frattempo, Trump senior – che di moderazione non ha mai sentito parlare – ha descritto Giorgia come “una donna incredibile, fortissima, amata dal suo popolo”.
Un entusiasmo da televendita presidenziale, mancava solo l’offerta speciale: “comprate una copia e vi regaliamo un cappellino MAGA con il tricolore”.
A tanta euforia, la premier ha risposto con l’eleganza glaciale di chi sa che un “grazie” è più pericoloso di un trattato internazionale.
“Molto gentile, amico mio”, ha scritto.
Traduzione simultanea: “apprezzo il gesto, ma non esageriamo con gli abbracci”.
La scena dice più di mille analisi geopolitiche: da una parte il miliardario americano in cerca di voti italoamericani da risvegliare con un po’ di nostalgia tricolore; dall’altra una leader europea che deve dosare le parole come se stesse camminando su un campo minato di diplomazia.
È l’abbraccio tra due mondi simili, ma distanti. Lui vende patriottismo in formato 4K, lei preferisce confezionarlo con un po’ più di sobrietà.
“I Am Giorgia”, per ora, si trova anche su Amazon USA: la trama è nota, ma il messaggio, tradotto in inglese, suona più epico che mai. “My roots, my principles”: le radici e i principi, concetti che negli Stati Uniti fanno subito pensare a Dio, famiglia, barbecue e bandiera.
E non c’è dubbio che a Trump la formula piaccia: una donna che parla di patria e valori tradizionali è esattamente l’immagine di cui ha bisogno mentre arringa folle e cerca nuovi alleati simbolici.
Certo, non è detto che gli americani capiscano tutto del fenomeno Meloni. Per molti, Garbatella suonerà come una marca di pasta artigianale e Fratelli d’Italia come un gruppo folk. Ma poco importa: la storia funziona anche fuori contesto.
È la favola di una donna che sfida il sistema, sale al potere e lo fa con voce decisa.
In un’America dove ogni candidato promette di “make something great again”, l’arrivo di “I Am Giorgia” serve più a Trump che a Meloni: un modo per mostrare che anche altrove c’è chi combatte “per Dio, per la famiglia e per la nazione”, possibilmente davanti alle telecamere.
Per lei, invece, il libro in inglese è un trofeo.
Non serve venderne milioni: basta che la copertina finisca in qualche salotto americano tra una biografia di Reagan e un manuale su come riconquistare la Casa Bianca.
Un segno di influenza, una cartolina spedita da Roma a Washington, con scritto: “Io sono Giorgia. E adesso mi capite anche voi.”
Insomma, più che un libro, I Am Giorgia è diventato un test diplomatico.
Trump urla “fantastic!”, Meloni risponde “gentile!”.
E il mondo osserva due sovranisti che si scambiano complimenti come due influencer in cerca di like incrociati.
Uno regala superlativi, l’altra li pesa col contagocce.
Forse il segreto del successo è proprio qui: nel sapere quando dire “great” — e quando invece limitarsi a un educato “grazie”.
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