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Sanità
08 Ottobre 2025 - 10:51
Sanità pubblica al collasso
Tredici miliardi di euro in meno in tre anni. Quarantuno miliardi di spese scaricate sulle famiglie. Un italiano su dieci che rinuncia a curarsi. Sono numeri che non hanno bisogno di interpretazioni, quelli contenuti nell’ottavo Rapporto Gimbe, presentato ieri alla Camera dei Deputati: una radiografia impietosa del Servizio Sanitario Nazionale che, secondo la Fondazione presieduta da Nino Cartabellotta, sta attraversando una fase di “lenta agonia”.
L’analisi mette in luce un quadro drammatico: nonostante nel triennio 2023-2025 il Fondo Sanitario Nazionale sia formalmente aumentato di 11,1 miliardi, la percentuale della spesa sanitaria rispetto al PIL è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, fino a un previsto 6,1% nel biennio 2024-2025. Tradotto: la sanità cresce nominalmente, ma non tiene il passo dell’economia reale. Il risultato è un taglio effettivo da 13,1 miliardi di euro, che di fatto svuota di significato gli annunci di incremento di risorse.
«Siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale – denuncia Cartabellotta – che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma. Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare alle cure e al diritto fondamentale alla salute».
Il Rapporto Gimbe, ormai punto di riferimento annuale per misurare la tenuta del sistema pubblico, evidenzia un divario crescente tra Nord e Sud, tra regioni che riescono a garantire livelli essenziali di assistenza e altre che non raggiungono gli standard minimi. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che avrebbe dovuto rappresentare la svolta per la medicina territoriale, è in ritardo: solo il 4,4% delle Case della Comunità è pienamente operativo, mentre molti progetti restano bloccati tra gare d’appalto e mancanza di personale.
Nel frattempo, la sanità privata avanza. Sempre più italiani si rivolgono a cliniche, assicurazioni e visite a pagamento, spesso per accedere a prestazioni che il servizio pubblico non riesce più a garantire in tempi accettabili. Le liste d’attesa si allungano ovunque: per una risonanza magnetica si attendono in media oltre 90 giorni, per una visita oculistica più di 100, con picchi che in alcune regioni superano i sei mesi.
La Fondazione Gimbe parla apertamente di “desertificazione del diritto alla salute”: un processo lento, ma costante, che trasferisce progressivamente la spesa dal pubblico al privato. Nel 2024, infatti, 41,3 miliardi di euro di costi sanitari sono stati sostenuti direttamente dalle famiglie italiane. Una cifra enorme, che pesa soprattutto sulle fasce più deboli, aggravando le disuguaglianze e spingendo una parte crescente della popolazione a rinunciare del tutto alle cure.
Il rapporto ricorda che l’Italia, pur vantando uno dei numeri più alti di medici per abitante in Europa, resta tra gli ultimi posti per numero di infermieri: un rapporto di 5,7 per mille abitanti contro gli oltre 9 della media europea. Una carenza strutturale che si traduce in reparti sotto organico, turni massacranti e migliaia di operatori che ogni anno abbandonano la sanità pubblica per trasferirsi nel privato o all’estero.
Cartabellotta non usa giri di parole: «Le promesse dei governi non si sono mai tradotte in riforme strutturali. Nessuno ha avuto la visione e la determinazione necessarie per rilanciare davvero il Ssn. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare alle cure, personale demotivato e ospedali sempre più impoveriti».
In questa crisi si inseriscono anche le difficoltà gestionali delle Regioni. Le più virtuose faticano a trattenere i professionisti, mentre le più deboli arrancano tra bilanci in rosso e servizi tagliati. In Piemonte, ad esempio, mancano oltre 3.000 infermieri e 1.500 medici ospedalieri, mentre le aziende sanitarie locali fanno sempre più ricorso a cooperative esterne e gettonisti, con costi tripli rispetto ai contratti pubblici.
Sul piano politico, la denuncia di Gimbe riapre il dibattito sulla sostenibilità del sistema sanitario universale, uno dei pilastri del welfare italiano. La spesa pubblica pro capite per la salute, oggi, è di 2.680 euro, contro i 4.700 della Germania e i 4.200 della Francia. Una forbice che si traduce in meno investimenti in tecnologia, infrastrutture e personale.
Il rischio, avverte il Rapporto, è quello di un dualismo sanitario: un sistema a due velocità in cui chi può permetterselo paga per curarsi, mentre chi non può resta escluso. È già realtà in molte città, dove proliferano ambulatori privati low cost e assicurazioni sanitarie integrative, spesso presentate come soluzioni “di emergenza” ma che, in prospettiva, rischiano di normalizzare la sanità a pagamento.
Per Gimbe, l’unica via d’uscita è una scelta politica netta: «O consideriamo la salute un investimento strategico, oppure continueremo a trattarla come un costo da tagliare – ha avvertito Cartabellotta – con la conseguenza di lasciare in eredità alle prossime generazioni strutture vuote, debiti e un sistema sanitario agonizzante».
L’appello della Fondazione è rivolto al Governo, alle Regioni e alle Asl, chiamate a convergere su un piano comune per trasformare le risorse in servizi reali e accessibili, superando le logiche di bilancio e restituendo dignità a chi lavora nella sanità pubblica.
Il problema, tuttavia, non è solo economico: è culturale. Negli ultimi anni la narrazione politica ha progressivamente spostato l’attenzione dal diritto alla salute al tema della “sostenibilità finanziaria”. Un linguaggio che, secondo gli analisti Gimbe, ha minato la fiducia dei cittadini, preparando il terreno alla privatizzazione. «Il Ssn è un bene comune, non una voce di spesa – ha concluso Cartabellotta – ma se continuiamo a ignorarne la crisi, diventerà un privilegio per pochi».
La sanità italiana, un tempo modello in Europa per universalità e accessibilità, oggi rischia di implodere sotto il peso della sua stessa fragilità. E se il declino del Servizio Sanitario Nazionale dovesse proseguire a questo ritmo, a pagare il prezzo più alto saranno proprio coloro che di cure hanno più bisogno.
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