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Aggressione al pronto soccorso di Ciriè: Unia (M5S) chiede una linea comune, la Regione promette guardie armate

Dopo l’ennesimo episodio di violenza contro medici e infermieri, il Movimento 5 Stelle sollecita un piano condiviso di sicurezza negli ospedali piemontesi

Aggressione al pronto soccorso

Aggressione al pronto soccorso di Ciriè: Unia (M5S) chiede una linea comune, la Regione promette guardie armate entro fine anno

Ancora violenza in corsia, ancora paura nei luoghi in cui si dovrebbe garantire cura e protezione. Il 30 settembre 2025, il pronto soccorso dell’ospedale di Ciriè è diventato teatro dell’ennesimo episodio di aggressione contro il personale sanitario: un uomo, in evidente stato di agitazione, ha tentato di colpire medici e infermieri, costringendo all’intervento le forze dell’ordine. Un fatto che riaccende con forza un tema ormai cronico nella sanità piemontese — quello della sicurezza negli ospedali — e che ha spinto il consigliere regionale Alberto Unia del Movimento 5 Stelle a chiedere alla Giunta Cirio una presa di posizione chiara e condivisa.

«È indispensabile che la politica trovi una posizione comune – ha dichiarato Unia – perché il problema non è più rinviabile. Servono azioni concrete per tutelare medici, infermieri e operatori sanitari, troppo spesso vittime di violenze verbali e fisiche». L’esponente pentastellato ha quindi presentato un’interrogazione per sapere quali misure la Regione abbia adottato per prevenire episodi come quello di Ciriè e garantire un coordinamento efficace con le forze dell’ordine.

La risposta è arrivata dall’assessore alla Sanità Alessandro Riboldi, che ha ricordato come la Regione Piemonte, già dal 3 giugno 2025, abbia avviato un monitoraggio in tutte le aziende sanitarie regionali per verificare la presenza e l’efficacia dei sistemi di sicurezza. Un’indagine capillare volta a mappare telecamere, vigilanza, procedure di intervento e corsi di formazione sulla gestione dei conflitti.

Non solo. Il 16 giugno 2025 è stato anche aggiornato il “Progetto Accoglienza e Umanizzazione in Pronto Soccorso”, che prevede l’introduzione di un referente per la gestione dei conflitti e di una figura di assistente in sala d’attesa, reclutata tramite associazioni di volontariato accreditate. Quest’ultima avrà il compito di fungere da mediatore tra pazienti e personale sanitario, in modo da disinnescare le tensioni prima che degenerino.

Nel dettaglio, Riboldi ha spiegato che nell’ambito dell’ASL TO4, di cui Ciriè fa parte, sono già state attuate misure di protezione mirate: installazione di sistemi di videosorveglianza, attivazione di un servizio di vigilanza non armata e incremento dei passaggi delle forze dell’ordine. Interventi che, tuttavia, non sembrano bastare.

Per questo motivo, l’assessore ha annunciato che è in corso una gara d’appalto per introdurre guardie armate in tutti i pronto soccorso piemontesi, con aggiudicazione prevista entro la fine dell’anno. Un cambio di passo che, nelle intenzioni della Regione, dovrebbe garantire una presenza dissuasiva e una maggiore sicurezza per chi lavora in prima linea.

Ma la questione, come ha sottolineato lo stesso Unia, non può ridursi alla sola dimensione repressiva. Il consigliere M5S ha invitato la Giunta a promuovere un fronte politico unitario, capace di coniugare prevenzione, formazione e protezione. «Il personale sanitario – ha ribadito – non deve sentirsi solo. È necessario un segnale forte, perché chi lavora nei pronto soccorso non può diventare bersaglio della rabbia sociale o della frustrazione di chi attende cure».

Secondo i dati diffusi dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), in Italia si registrano oltre 1.200 episodi di aggressione ogni anno contro operatori sanitari, la maggior parte dei quali in pronto soccorso o nei reparti psichiatrici. In Piemonte, solo nel 2024, si sono contati più di 90 casi documentati, tra minacce, sputi, spintoni e vere e proprie aggressioni fisiche.

Ciriè non è un’eccezione: episodi simili si sono verificati anche alle Molinette, al San Giovanni Bosco e all’ospedale di Rivoli, dove medici e infermieri denunciano da tempo turni massacranti, carenza di personale e contesti sempre più tesi. «Quando un paziente attende anche sei ore in pronto soccorso, la situazione può degenerare – spiega un medico d’urgenza torinese – ma a pagarne le conseguenze siamo noi, non chi gestisce il sistema».

Da qui l’appello politico del Movimento 5 Stelle: un tavolo comune con assessorato, sindacati e ordini professionali, per ridefinire protocolli e risorse. Non solo sorveglianza, dunque, ma strategie di prevenzione psicologica e organizzativa, con più formazione su comunicazione, gestione dell’aggressività e supporto post-evento per gli operatori coinvolti.

La stessa Regione, nei mesi scorsi, aveva attivato un numero verde di supporto psicologico per il personale sanitario, un’iniziativa nata durante la pandemia e oggi estesa alle vittime di violenza in corsia. Ma il quadro resta fragile: secondo i sindacati, la percezione di sicurezza tra gli operatori è “drammaticamente bassa” e molti professionisti scelgono di lasciare i pronto soccorso proprio per il clima di rischio costante.

La promessa delle guardie armate, se da un lato è accolta come un passo avanti, dall’altro solleva interrogativi. “Non basta militarizzare gli ospedali – afferma Unia – se non si affrontano le cause profonde: la mancanza di personale, i tempi d’attesa infiniti e la comunicazione insufficiente con i pazienti. Serve un piano complessivo che metta al centro il benessere di chi cura e di chi è curato”.

Il tema è destinato a pesare nel dibattito politico regionale delle prossime settimane. La Giunta Cirio, da parte sua, punta a presentare entro novembre una relazione complessiva sulle misure di sicurezza nelle strutture sanitarie piemontesi, comprensiva dei risultati del monitoraggio avviato a giugno. Nel frattempo, le sigle sindacali degli infermieri e dei medici annunciano nuove mobilitazioni: “Vogliamo lavorare senza paura – scrivono in un comunicato – perché chi aggredisce un operatore sanitario aggredisce il diritto stesso alla salute”.

Intanto, al pronto soccorso di Ciriè, il personale è tornato al lavoro, ma con un senso di inquietudine che difficilmente si cancella. La ferita non è solo fisica: è la consapevolezza che, in un sistema sanitario già sotto pressione, la violenza è diventata routine. E ogni aggressione, come quella del 30 settembre, è una sconfitta collettiva, che la politica non può più permettersi di ignorare.

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