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08 Ottobre 2025 - 00:03
L'assessore regionale Riboldi
C’è una scena che ormai si ripete uguale, come il ritornello di una canzone estiva: conferenza stampa con sorrisi d’ordinanza, il piano socio-sanitario che “arriva entro l’estate”, poi “entro l’autunno”, poi “dopo le feste”. Nel frattempo, tutto procede benissimo, garantisce l’assessore regionale Federico Riboldi. E infatti procede: audizioni, tavoli, tour nelle province, altri tavoli, e soprattutto promesse. Il futuro è roseo; i numeri, un filo meno. Anzi, i numeri spesso non pervenuti.
Perché qui sta il punto, e non è un vezzo contabile: la riforma che dovrebbe rimettere in riga il sistema, ridurre le attese e ridare fiato ai pronto soccorso, cammina su due gambe. Una si chiama “programmazione” (cioè il piano), l’altra “intramoenia” (cioè la libera professione dentro il pubblico, con regole, limiti e controlli). Se la prima gamba zoppica sulle scadenze, la seconda inciampa sulle domande base: quanti posti letto dedicati alla libera professione ci sono? come sono organizzati i ricoveri tra attività istituzionale e Alpi? Domande elementari, le risposte dell’assessore a specifiche domande un po’ meno: non lo sappiamo, “potrà” essere oggetto di rilevazione. Potrà. Il futuro anteriore della burocrazia.

Luigi Icardi
Eppure proprio su intramoenia l’assessorato e l’ex assessore Luigi Icardi hanno alzato il vessillo della “nuova legge piemontese”. “Abbiamo messo ordine, abbiamo normato, abbiamo visto cose che voi…”, e via così. Poi quando si passa dal proclama al dettaglio, ecco le comiche: “Gli spazi? I posti letto? Il personale di supporto? Questi dati non sono disponibili…”. Il regolamento è “dettagliatissimo”, peccato manchi il dettaglio. È come fare il piano del traffico senza sapere quante auto circolano: bello, moderno, sostenibile… e inutile.
Nel frattempo, nell’Italia reale, il volume d’affari dell’intramoenia, cioè di quei medici che se li cerchi con il Cup non si fanno trovare ma se ti presenti con il bancomat ci sono sempre, corre come un treno: quasi un miliardo e trecento milioni nel 2022, e non è che si veda il freno tirato. Le differenze tra regioni sono robuste: c’è chi spende di più, chi un po’ meno, ma il senso generale è chiaro. La verità è che se per una Tac in regime istituzionale aspetti settimane o mesi, con la via parallela “pagare è passare”, magari dal medesimo camice che nel pubblico non ha slot, ma in libera professione sì, domani mattina alle 8.
Poi c’è Cuneo e le prenotazioni “fantasma”, fissate a mezzanotte. Come nelle fiabe, a un rintocco la zucca diventa carrozza, e la visita clinica improvvisamente appare. Quando la notizia che li stava facendo i furbi finisce su tutti i giornali e scoppia il bubbone, arriva lo stop, e con lo stopsi chiudono le prenotazioni, anche quelle farlocche. “Nessun blocco”, dice Riboldi il 23 settembre. Il giorno dopo, le mail girano, gli sportelli non sanno cosa dire, i pazienti pure. Tanto che la faccenda finisce in Parlamento, a chiedere chiarezza: “il sistema Cup non vede oltre i dieci giorni per la classe B? ha senso sospendere le agende? è legale?”.
Sul fronte della “intramoenia allargata”, altra pagina. Fornaca, Città della Salute, crediti da recuperare per l’attività dei medici pubblici in struttura privata: l’ex commissario “trombato” Thomas Schael aveva detto “o rientra il dovuto o niente convenzione”. Insomma linea dura… “Rigore, trasparenza e dialogo” dice oggi il nuovo direttore Livio Tranchida. L’assessore Riboldi gli fa eco: “Non arretriamo di un millimetro”. Bene. Anzi, benissimo. Ma la metrica del millimetro, in Regione, come si misura? Con gli atti o con le proroghe? Con la cassa che rientra o con l’ennesima “norma di accompagnamento” in attesa del regolamento “appena approvato ma da applicare”? Perché tra il dire “rigore” e il firmare una nuova convenzione, la differenza è un bonifico e un parere legale. E l’odore del denaro dovuto si sente lontano: se non rientra, la parola “rigore” resta, appunto, una parola.
Intanto il piano socio-sanitario continua la sua vita avventurosa. Doveva arrivare prima dell’estate: non pervenuto. Entro l’autunno: si è fatto tardi. “Dopo il giro di audizioni”: calendario pieno, Torino a fine ottobre, poi Alessandria-Asti a novembre, quindi Novara-Vercelli-Biella-Vco, poi Cuneo a dicembre, poi l’audizione “regionale” col gotha di tutto: ordini, sindacati, privati, garanti. Un pellegrinaggio devoto che finirà – forse – in Commissione a gennaio. Poi l’Aula, poi gli emendamenti (perché tutti hanno qualcosa da dire), poi chissà. I più prudenti cerchiano in rosso febbraio. I più smaliziati, già spostano il segnalibro al 2026: nel frattempo cambiano le nuvole, cambiano i dg, cambiano le tabelle, cambiano gli annunci. “Il piano? Arriva, arriva…”. Come l’autobus GTT quando hai già deciso di andare a piedi.
E il cuore del testo, quello che dovrebbe dare la rotta ai prossimi anni? Qui la critica è sempre la stessa: mancano i dati, mancano le scadenze, mancano gli indicatori. Si promette di ridurre le liste, ma non si dice di quanto e entro quando. Si parla di personale, ma poi il bilancio fa i conti con l’inflazione sanitaria, i turni scoperti, i Pronto soccorso che si reggono con i “gettonisti” che dovevano sparire ieri. Si invoca la medicina del territorio, ma le Case di Comunità si aprono a metà, spesso senza équipe compiute. Si canta la digitalizzazione, poi il Cup non vede oltre dieci giorni. “È colpa del software”, si risponde. Certo: gli algoritmi, come sempre.
Sull’intramoenia, la promessa più limpida dell’assessore è anche la più impegnativa: “se si superano i tempi massimi o si squilibra l’attività tra istituzionale e privata, si blocca la libera professione”. Parole scolpite. Ma chi controlla, con quali dati e con quale frequenza? Chi certifica lo squilibrio se non sappiamo quanti letti, non sappiamo come sono distribuiti i ricoveri, non sappiamo l’impegno orario del personale di supporto?
L’impressione è che si continui a fare la guerra alle liste d’attesa con le parole, mentre le liste d’attesa fanno la guerra ai pazienti con i giorni del calendario. E che l’intramoenia, da strumento regolato e residuale, sia diventata la scorciatoia ordinaria: lì trovi posto, spesso in fretta, se puoi pagare. Il resto è fila. E non è un problema ideologico: è la banale constatazione che quando il pubblico non offre una risposta nei tempi di legge, il mercato – quello dei soldi veri, non dei comunicati – si prende lo spazio.
In tutto questo, Riboldi gioca una partita politica complicata. Ha promesso di “non arretrare di un millimetro” coi privati che devono soldi: vedremo i bonifici. Ha scommesso su una legge-simbolo sull’intramoenia: vedremo i dati. Ha messo la firma su un piano che arriverà: vedremo quando, e cosa. Ha difeso il sistema di prenotazioni mentre il sistema barcollava: vedremo se il ministro dirà che andava tutto bene. È molto da vedere, poco da toccare.
La morale? Non serve l’ennesimo regolamento “dettagliatissimo” se mancano i dettagli misurati. Non serve promettere il blocco dell’intramoenia fuori regola se non hai un cruscotto che ti dica in tempo reale dove la regola salta. Non serve un piano che colleziona audizioni se non fissa numeri, obiettivi e scadenze come si fa in ogni mestiere dove la responsabilità non si declina al futuro. E non serve, soprattutto, raccontare che è tutto sotto controllo quando l’unica cosa davvero sotto controllo è il calendario delle conferenze stampa.
“Bloccheremo l’attività libero professionale se si superano i tempi”, ripete Riboldi. Benissimo. Allora facciamo così: prima contiamo i letti, poi contiamo le ore, poi misuriamo le agende. E dopo, blocchiamo davvero dove c’è da bloccare, incassiamo davvero dove c’è da incassare, sblocchiamo davvero dove c’è da sbloccare (Cup incluso). Il resto è retorica. E la retorica, in sanità, non cura. Al massimo, intrattiene.
Ci sono i verbi dell’azione, quelli del fare. Poi ci sono i verbi del Piemonte: il potrà.
“Il dato potrà essere oggetto di rilevazione.” Potrà. Non “è”, non “sarà”. Potrà, cioè: non oggi, forse domani, probabilmente mai.
È la rivoluzione grammaticale della sanità piemontese. La terapia dell’attesa, la diagnosi al condizionale, la cura dell’indeterminatezza.
L’assessore Federico Riboldi, uomo di fede meloniana e verbo elastico, ha promesso di “non arretrare di un millimetro”. E infatti non arretra: resta fermo. Il problema è che il paziente, intanto, arretra lui, verso la libera professione, verso la Fornaca, verso il bancomat.
Mentre la Regione medita, potrà anche curarsi — purché paghi.
Il piano socio-sanitario, annunciato come un vaccino miracoloso contro la confusione, è diventato un richiamo annuale alla pazienza. Prima dell’estate, dopo l’estate, sotto l’albero, dopo la Befana. A breve si dirà entro la prossima legislatura, che è un modo carino per dire mai.
È un piano itinerante, fa più chilometri lui di un’ambulanza: da Torino a Fossano, da Cuneo a Vercelli, ovunque promesse e tabelle di marcia. Solo le tabelle, per ora, non si trovano.
Riboldi è il politico che parla come un calendario: tutto rimandato, ma ordinato. Dice rigore, e proroga; dice trasparenza, e i dati non li ha; dice dialogo, e nessuno capisce in che lingua. È il funzionario che cita la legge come un prete la messa, ma dimentica i fedeli fuori dalla chiesa.
Chiede rigore ai privati, purché rientrino i soldi “a breve”. A breve, in Piemonte, è un concetto temporale che precede il potrà.
Quando gli chiedono dei posti letto dell’intramoenia, sorride. Non lo sa, ma non è grave: nemmeno i letti sanno di esserlo. L’assessore annuncia che “se si superano i tempi massimi, si blocca la libera professione”. Ma come si fa a bloccare ciò che non si misura? È come dire che, se il treno è in ritardo, si ferma la stazione.
E intanto il treno dei soldi — quello sì — arriva puntuale.
Il caso Cuneo, le prenotazioni a mezzanotte, le Tac a Natale: pare una barzelletta di provincia, invece è il Cup. In Regione la chiamano ottimizzazione digitale. Nelle sale d’attesa, più semplicemente, la chiamano farsa.
“Il sistema funziona”, dice Riboldi. Certo: basta non usarlo.
Ma l’assessore ha un dono raro: trasforma i problemi in sintassi. Dove c’è confusione, mette un participio; dove manca un numero, inserisce un avverbio; dove servirebbe una decisione, aggiunge un potrà. È il primo caso clinico di politica verbale applicata alla sanità.
E bisogna ammetterlo: funziona. Nessuno guarisce, ma la frase è corretta.
In Piemonte, la sanità non è più un diritto: è un tempo verbale.
E Federico Riboldi ne è il coniugatore supremo.
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