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03 Ottobre 2025 - 22:49
Caterina Greco
Prendiamo, anzi no, ritorniamo su Caterina Greco. Nome e cognome che tornano come una vecchia canzone, quella che ti resta in testa anche se non la vuoi canticchiare. Lei compare nelle carte del processo Echidna come “beneficiaria” dei pacchetti di voti smerciati da Salvatore Gallo, condannato per peculato, corruzione elettorale e spese allegre. Non è indagata, per carità, guai a dirlo. Però i suoi voti arrivavano da quel supermercato del consenso dove, con una tessera autostradale, ti portavi a casa cinquanta preferenze e con un treno di gomme un intero seggio. Era la promozione del week-end: prendi due, paghi uno, e ti trovi eletto. Lei, che di quei voti ha beneficiato, oggi siede serena in Città Metropolitana con una delega alle scuole.
Abbiamo scritto «forse sarebbe il caso di dimettersi dal direttivo del circolo di Settimo Torinese» e, manco avessimo bestemmiato in chiesa, si è alzato subito il coro: «Giù le mani dalla compagna Greco!». Solidarietà a pioggia, pacche sulle spalle, carezze via whatsapp, quasi un’Ave Maria recitata in streaming. Mancava solo l’acqua benedetta in spray e la candela accesa su Instagram.
Dario Pera
Ora prendiamo Dario Pera. Un consigliere qualunque di circoscrizione. Durante un seduta si guarda intorno, pensa di essere fra amici e, rivolgendosi a una collega assente, apre bocca e spara la battuta da caserma: «Starà facendo un pompino». Volgare, sessista, imbecille. Nel giro di 48 ore lo crocifiggono in sala mensa, lo appendono in bacheca, lo espellono, lo cancellano pure dall’anagrafe. Per lui niente rosari, niente Ave Maria, niente like, solo il patibolo. Fine pena mai.
E qui la satira si scrive da sola. Per la Greco, che ha beneficiato di un voto di scambio certificato dai giudici e scritto nero su bianco, coccole e abbracci, sostegno unanime, quasi un pellegrinaggio di solidarietà. Per Pera, che ha fatto il trivellatore verbale, la ghigliottina. Due pesi, due misure, due metri di ipocrisia. Se i voti te li portano i Gallo, sei nel pantheon. Se ti scappa un pompino di troppo, sei al rogo.
E nessuno, dico nessuno, che pensi ai candidati onesti. Quelli che alle comunali di Torino si sono fatti la campagna porta a porta, un voto alla volta, a piedi, sotto la pioggia, con i volantini stampati in casa e il sorriso finto a forza di denti stretti. Quelli che sono andati a suonare campanelli fino a farsi venire il tunnel carpale. Quelli che non avevano i voti confezionati in stock, ma solo il vicino convinto, la zia benevola e il cane che abbaia. Loro sì che si sono presi l’inculata, e senza nemmeno la consolazione di una solidarietà, di un post, di un like. Epperò, toh guarda, a loro niente: nemmeno un “coraggio, compagno”, nemmeno un’emoji.
E allora eccolo qua, il Pd nuovo, rinnovato, rigenerato. Il partito che si veste da moralizzatore quando conviene, ma che in realtà ha il cuore diviso: da una parte il rigore, dall’altra l’abbraccio al voto sporco. È il Pd dove il pompino è un reato capitale, e l’inculata è solo la prassi, quasi un obbligo statutario. È il Pd delle due morali, dove la parolaccia ti condanna e la preferenza marcia ti promuove.
Insomma, un partito che sembra uscito da una barzelletta ma che fa ridere solo chi ha già vinto. Un partito che non conosce vergogna, ma conosce benissimo la differenza tra “essere del clan giusto” ed essere uno qualsiasi. Perché, alla fine, nel Pd l’importante non è quello che dici o quello che fai: l’importante è con chi lo fai.
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