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Ambiente
30 Settembre 2025 - 14:23
Granchio blu, Lollobrigida: “Specie ormai dappertutto, serve una strategia internazionale per fermarne l’impatto”
«Il granchio blu non è solo in Toscana e in Emilia Romagna, ma è un po’ dappertutto. È particolarmente impattante nelle aree di acquacultura e di mitilicultura, ma ormai si trova in tutto il Mediterraneo». Con queste parole, pronunciate al Global Summit del World Travel & Tourism Council in corso a Roma, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha lanciato un nuovo allarme sull’invasione del crostaceo atlantico che da anni minaccia gli ecosistemi e l’economia ittica italiana.
Il ministro ha ricordato che l’Italia si è già mossa con iniziative comuni anche con i Paesi che si affacciano sull’altra sponda dell’Adriatico. «Se diminuisci la presenza di una specie da una parte del mare e non lo fai dall’altra, a causa delle correnti dell’acqua rischi di ritrovartela nuovamente sulle tue coste. Quindi alcune azioni sono di carattere nazionale ma anche internazionale». Da qui la richiesta a Bruxelles di una strategia condivisa e di fondi adeguati. «Abbiamo sollecitato l’Europa a concentrarsi di più su una strategia di contenimento non solo del granchio blu ma di tutte quelle nuove specie che, per diverse ragioni come il cambiamento climatico che produce un’elevazione delle temperature dell’acqua e alcune modifiche delle correnti, giungono nei nostri mari e incidono in maniera non naturale rispetto ai bacini di interesse delle singole nazioni».
Lollobrigida ha insistito sulla difficoltà di contenere una specie in un ambiente senza confini come il mare: «In contesti come il mare, dove è più difficile far rispettare i confini, è fondamentale un’azione sinergica a livello internazionale, con risorse adeguate».
Originario delle coste atlantiche americane, il Callinectes sapidus, meglio noto come granchio blu per il colore delle chele maschili, ha trovato nel Mediterraneo un habitat favorevole grazie al progressivo aumento delle temperature e ai cambiamenti delle correnti. Il suo arrivo in Italia risale agli anni ’40, ma è negli ultimi due decenni che la specie si è moltiplicata in modo esponenziale, colonizzando lagune, foci fluviali e aree di allevamento.
Il problema non è solo ecologico, ma soprattutto economico. Il granchio blu si nutre infatti di molluschi e crostacei autoctoni, predando vongole, cozze e ostriche. In alcune aree, come le valli da pesca dell’alto Adriatico, ha devastato gli allevamenti di vongole, compromettendo un settore che da solo vale decine di milioni di euro l’anno. La sua voracità lo rende un predatore in grado di alterare gli equilibri delle comunità bentoniche, mettendo in crisi l’acquacoltura tradizionale.
Nonostante ciò, negli Stati Uniti il granchio blu rappresenta una risorsa pregiata per la gastronomia, con un mercato che muove milioni di dollari. Alcuni imprenditori italiani hanno provato a trasformare il problema in opportunità, proponendolo nei menù dei ristoranti o come prodotto da esportazione. Tuttavia, la diffusione troppo rapida e incontrollata rende difficile immaginare che la sola via commerciale possa risolvere l’emergenza.
Negli ultimi anni, il governo italiano ha stanziato fondi per campagne di pesca straordinaria, coinvolgendo i pescatori locali in operazioni di cattura massiva. Ma la resilienza della specie, capace di riprodursi velocemente e di adattarsi a diversi habitat, rende l’impresa ardua. La stessa FAO ha riconosciuto che il contenimento del granchio blu richiede azioni coordinate su scala internazionale, poiché i movimenti del crostaceo non conoscono confini politici.
La sfida è duplice: da un lato salvaguardare l’ecosistema e la biodiversità marina, dall’altro proteggere le comunità di pescatori e allevatori che vivono di mitilicoltura e acquacoltura. In Veneto ed Emilia Romagna, intere cooperative hanno visto ridurre drasticamente i loro introiti, mentre in Toscana e Lazio si moltiplicano le segnalazioni di danni agli allevamenti costieri.
Il monito del ministro al summit di Roma, davanti a una platea internazionale, suona dunque come un appello politico oltre che tecnico: senza un impegno comune, il Mediterraneo rischia di diventare un mare trasformato da nuove specie invasive, con ricadute pesanti sulla sicurezza alimentare e sulle economie costiere.
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