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22 Settembre 2025 - 16:21
"Squadrismo travestito da attivismo": il sindacato della polizia attacca i cortei per Gaza dopo le occupazioni
La giornata di mobilitazione di lunedì 22 settembre a Torino, che ha visto circa 10mila persone scendere in piazza per chiedere lo stop al genocidio a Gaza e che ha assunto momenti di forte tensione con binari occupati a Porta Nuova e immagini di foto bruciate in piazza Graf, ha prodotto reazioni durissime dalle forze dell’ordine e dalla politica di destra. Al centro del dibattito restano le sequenze più aspre della protesta: l’occupazione dei tracciati ferroviari, il blocco degli ingressi al campus universitario e i gesti simbolici e provocatori che hanno contrassegnato la manifestazione.
Il primo commento pubblico a reagire alle immagini e ai resoconti della giornata è stato quello del sindacato di polizia Coisp, per voce del segretario Domenico Pianese. Il sindacato non ha lesinato parole dure: «In queste ore stiamo assistendo a: cortei pro-Pal e pro-Gaza che, pur autoproclamandosi portatori di pace e di diritti, di fatto si sono trasformati in teatri di violenza contro le forze dell'ordine e contro i cittadini», ha scritto Pianese, denunciando episodi in cui «uomini e donne in divisa sono stati presi di mira, spintonati, insultati, bersagliati da oggetti». Per il Coisp, è netto il giudizio politico e morale: quello che va in scena «non è libertà di manifestare, ma squadrismo travestito da attivismo».
Domenico Pianese
La denuncia del sindacato si concentra anche sulle modalità di occupazione e sulle conseguenze pratiche delle azioni: «Impedire agli studenti di entrare nelle università, ai cittadini di accedere alle stazioni ferroviarie o bloccare le strade — prosegue la nota — rappresenta una distorsione intollerabile del diritto di manifestare». Il richiamo alla Costituzione è esplicito da parte del Coisp, che ribadisce come i diritti civili si accompagnino a doveri fondamentali, tra cui la possibilità per chi dissentisse di continuare ad accedere liberamente a luoghi pubblici senza subirne imposizioni. Nel linguaggio scelto, la protesta di oggi viene descritta come una sovversione dell’ordine pubblico che mette in pericolo la sicurezza dei cittadini e il lavoro delle forze dell’ordine.
A queste posizioni di condanna si è aggiunta la reazione politica firmata da Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e esponente di Fratelli d’Italia, che ha ricondotto alle responsabilità della sinistra gli episodi più violenti e simbolici della giornata. Rampelli ha posto l’accento sul gesto di bruciare le fotografie della premier e del leader israeliano come espressione di un linguaggio d’odio che, a suo avviso, la sinistra alimenterebbe senza prendere le dovute distanze. Nel comunicato, Rampelli ha osservato che «a Torino un'immagine di Giorgia Meloni è stata data alle fiamme» e ha collegato il gesto a un clima di violenza che, secondo lui, «la sinistra non perde occasione per rinnovare».
Fabio Rampelli
La tesi politica del vicepresidente della Camera è netta: per Rampelli, la protesta per Gaza sarebbe stata in più casi «un pretesto per acuire la tensione sociale e favorire il caos», e la scelta di colpire il governo con atti simbolici e aggressivi sosterrebbe, secondo la sua lettura, che «la pace interessa poco e la causa palestinese ancora meno». Il discorso di Rampelli ricompone così i fatti nella cornice di una polemica più ampia sulla responsabilità politica delle mobilitazioni e sul ruolo di chi le organizza e le sostiene.
Le accuse del Coisp e di Rampelli sollevano questioni diverse ma intrecciate. Dal punto di vista dell’ordine pubblico, il problema posto dal sindacato è concreto: l’occupazione dei binari e i blocchi degli ingressi alle università hanno prodotto disagi rilevanti alla mobilità e hanno messo le forze dell’ordine nella condizione di dover gestire situazioni potenzialmente esplosive. Per la classe politica di destra, invece, l’evento è la fotografia di una deriva civile: il gesto di bruciare immagini istituzionali diventa l’emblema di una strategia politica che, a loro avviso, mira a delegittimare lo Stato e il governo.
Ma le stesse parole usate nelle note scatenano una discussione sul confine tra diritto di manifestare e limiti dell’azione diretta. Chi oggi in piazza ha partecipato agli spezzoni più radicali rivendica la scelta di colpire infrastrutture come strumento di pressione e visibilità, insistendo sulla necessità di misure concrete per Gaza; chi osserva dall’esterno legge quei gesti come una trasgressione inaccettabile. La contrapposizione è netta e crea un terreno di scontro che non appare destinato a dissolversi con facilità.
Le reazioni istituzionali e di parte non si limitano però alla denuncia: pongono la questione di come si debba presidiare il confine tra protesta legittima e violenza. Il Coisp chiede di isolare chi fomenta l’aggressione alle forze dell’ordine; Rampelli chiede alla sinistra di prendere le distanze dai violenti. Entrambe le richieste sollecitano risposte politiche e operative: maggiore controllo sulle modalità di protesta e segnali di condanna, da parte dei soggetti che rivendicano la mobilitazione, verso ogni forma di violenza.
La giornata torinese mostra così due facce di una tensione nazionale: da un lato la pressione di piazza che reclama azioni concrete a sostegno di Gaza; dall’altro la reazione di istituzioni e forze dell’ordine che leggono in certe pratiche un rischio per la democrazia e la sicurezza pubblica. Le parole di Coisp e Rampelli imprimono alla cronaca un’accentuazione che trasforma i fatti di oggi in materia di confronto politico permanente: resta da vedere se le contrapposizioni si risolveranno in un confronto istituzionale capace di definire regole chiare per la protesta o in un’escalation di accuse e tensioni.
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