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Costume e società

Che magia ai Giardini del Castellazzo: in 300 per Daby Touré

Una serata intensa e partecipata, tra radici africane, contaminazioni musicali e il duetto con Fabrizio Zanotti che ha emozionato il pubblico della rassegna Pixel

Che magia ai Giardini del Castellazzo: in 300 per Daby Touré

Daby Touré con Fabrizio Zanotti

Un po’ ce lo aspettavamo. Oggi abbiamo la conferma. Venerdì sera, ai Giardini del Castellazzo, quasi 300 persone hanno riempito lo spazio per accogliere Daby Touré, un artista che non porta con sé soltanto canzoni, ma interi mondi fatti di radici, viaggi, lingue e storie. È stato molto più di un semplice concerto in una cornice “inedita” da valorizzare, e questo – non solo per la cronaca – lo hanno davvero detto in tanti, uscendo con il sorriso e la sensazione di aver vissuto qualcosa di raro.

La verità è che chi era presente ha percepito fin dai primi accordi che quella non sarebbe stata una serata qualsiasi. La voce calda di Touré, intensa e insieme rassicurante, ha conquistato subito l’attenzione, intrecciandosi con le corde della sua chitarra in una maniera tanto semplice quanto ipnotica. Non si è trattato di un’esibizione gridata o spettacolare in senso stretto: al contrario, è stato un percorso lento e profondo, che ha guidato chi c’era dentro un altro mondo. Un viaggio che ha mescolato memorie, radici e contaminazioni. E poi l’assenza di barriere tra palco e pubblico, tra organizzatori e spettatori: un clima di partecipazione condivisa, quasi familiare, che ha reso la serata ancora più speciale.

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Uno dei momenti più forti è arrivato quando Fabrizio Zanotti, cantautore eporediese e organizzatore della rassegna Pixel con la sua Fabrika, ha raggiunto l’artista sul palco. Insieme hanno cantato Aquarius, in due lingue diverse. È stato un incontro tra due voci e due percorsi musicali che hanno saputo incrociarsi senza sovrastarsi, creando un’armonia nuova. Il pubblico, rapito, ha riconosciuto in quel duetto il senso più autentico della serata: l’unione tra mondi apparentemente lontani che, davanti alla musica, si sono scoperti vicinissimi.

Il percorso che ha portato Touré fino a quel palco non è stato semplice. Nato in Mauritania nel 1972, figlio di una famiglia legata ai leggendari Touré Kunda, ha conosciuto la musica come pane quotidiano, ma anche come eredità ingombrante. Crescendo, ha scelto di seguire la sua strada con coraggio, imparando a suonare la chitarra di nascosto, trasformando un divieto in un’energia creativa che lo ha spinto verso nuove direzioni. Nei villaggi lungo il fiume Senegal ha assorbito i ritmi e le melodie dove la musica non è intrattenimento, ma linguaggio comunitario e strumento di dialogo.

Quando, a fine anni Ottanta, si è trasferito in Francia, ha incontrato un altro universo: quello delle radio e delle cassette che trasmettevano Michael Jackson, The Police, Stevie Wonder e naturalmente Bob Marley. Da questo incrocio di culture è nato il suo stile, capace di muoversi con naturalezza tra lingue e generi diversi. Non è un caso che nel tempo abbia scelto di cantare in wolof, francese, inglese o soninké, lasciando che le parole scivolassero l’una nell’altra senza barriere.

Dal palco dei Giardini del Castellazzo tutto questo è emerso con chiarezza. Touré non ha soltanto eseguito brani: ha raccontato un pezzo della sua storia. Ogni canzone ha aperto un varco, invitando chi ascoltava a entrare. Ci sono state melodie intime, che hanno invitato alla meditazione, e subito dopo ritmi che hanno fatto battere i piedi e muovere i corpi. La platea ha seguito con attenzione e rispetto, dimostrando che quando l’artista sa essere autentico, il pubblico sa rispondere con la stessa autenticità.

Molti hanno ricordato, ascoltandolo, l’eco di Bob Marley. Non nei ritmi, ma nello spirito. Come Marley, anche Touré ha trasmesso una filosofia precisa: la musica come libertà, come atto di resistenza e come speranza. Lo ha fatto senza proclami, ma con il linguaggio diretto della voce e della chitarra. È forse per questo che il concerto ha lasciato la sensazione di qualcosa di familiare, pur arrivando da lontano.

Il concerto ha dimostrato che non servono grandi palchi o produzioni faraoniche per regalare al pubblico un’esperienza intensa. Basta la forza della musica, l’onestà dell’artista e la disponibilità di chi organizza. È stato un insegnamento implicito ma chiarissimo: la cultura può vivere anche in luoghi semplici, se la qualità di chi sale sul palco è alta e se chi organizza lo fa con passione.

Alla fine, tutti si sono scambiati commenti, impressioni, sorrisi. Alcuni hanno detto di aver scoperto un artista che non conoscevano, altri hanno ricordato concerti passati di Touré, ma tutti hanno condiviso lo stesso pensiero: quella è stata una serata speciale, un momento raro di bellezza che difficilmente dimenticheranno. Molti non volevano abbandonare i Giardini, quasi a trattenere ancora un po’ quell’incanto.

Chi ha partecipato lo sa bene: ci sono serate in cui la musica non è solo intrattenimento, ma diventa uno spazio in cui le persone si incontrano e si riconoscono. Venerdì sera, ai Giardini del Castellazzo, è accaduto proprio questo. 

La serata è stata resa possibile grazie alla collaborazione di Auser Ivrea e Avis Ivrea, con il supporto dei volontari dell’Asso di Picche, che hanno gestito con disponibilità il servizio bar e l’accoglienza. Dettagli che hanno contribuito all’atmosfera, perché la cultura ha bisogno anche di queste presenze silenziose, capaci di rendere tutto più semplice e accogliente.

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