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Peppino, l'usignolo d'Ivrea, conquista la Corrida con la sua voce

Per lui solo campane al termine di un'esibizione che ha fatto sognare i nostalgici della nota trasmissione di Corrado Mantoni

Giuseppe Lo Torto

Sabato 30 agosto, al tendone di Pavone Canavese, il pubblico si è alzato in piedi per applaudire Giuseppe Lo Torto. Per tutti, semplicemente, Peppino di Ivrea, meglio noto come l’usignolo del Canavese. È stato il protagonista assoluto della Corrida locale, un evento che ha voluto riprendere lo spirito della celebre trasmissione televisiva di Corrado. Quindici concorrenti, tutti cantanti, ma soltanto lui è riuscito a strappare le campane di approvazione con la sua voce d’altri tempi. Ha intonato Ohi Marì e Calabrisella, poi un bis lirico da vero tenore. «Il pubblico in piedi, grandi applausi, festeggiamenti e onori», racconta con la semplicità che lo contraddistingue.

Per Lo Torto non è una novità. A settantadue anni, la sua voce continua a incantare platee piccole e grandi, con una naturalezza che non ha mai conosciuto compromessi. Non ha mai avuto un agente, né un impresario, né una scrittura in televisione, ma ha conquistato con il solo potere del canto tre cittadinanze onorarie — a Bollengo, Pavone Canavese e Valperga. «Mi chiamano l’usignolo del Canavese. Per me, tanti applausi e qualche monetina, che aiuta a fare la spesa», dice sorridendo, con quel garbo antico che è ormai la sua cifra.

Il repertorio è vasto e senza tempo: ’O sole mio, Parlami d’amore Mariù, Non ti scordar di me, ma anche arie liriche come Nessun dorma e E lucevan le stelle. Quando canta, il petto si apre e la voce si allarga, trasformando il Canavese in un teatro d’opera improvvisato. «Io sono un tenore, mica faccio pop», ha sempre precisato, volendo marcare la differenza da Peppino di Capri, al quale viene spesso accostato per affetto.

Eppure la sua carriera non è mai passata dai grandi palcoscenici. Ha calcato officine, stazioni di servizio, tavoli di ristorante e giardini privati, perché la sua vita è stata soprattutto lavoro. Dieci anni in Olivetti, dieci come benzinaio e lavamacchine, altri dieci come idraulico. Ha fatto il cameriere al Mago di Caluso e il giardiniere nelle ville dei signori della Fiat. Mille mestieri, mai la gloria, mai la ricchezza. E la televisione, nemmeno una volta. «Nessuno mi ha mai portato in Rai», ripete senza rancore, quasi con ironia.

Giuseppe Lo Torto, per tutti Peppino d'Ivrea

Questo non gli ha impedito di collezionare ricordi preziosi. Come la foto con il presidente della Regione, Alberto Cirio, dopo un’esibizione a Pertusio. Un’immagine che per lui vale più di una comparsata televisiva. Perché è autentica, come la sua storia.

A Ivrea, intanto, continua a essere un’istituzione. Durante la festa di San Savino, tutti gli anni si aggira per le vie del centro, cantando tra la folla, scegliendo i punti d’ombra per sostare e intonare le sue melodie. L’angolo davanti al Centro Ottico Pecora in corso Botta è diventato quasi il suo palcoscenico naturale.

Non ci sono dischi in classifica, né tour internazionali. Ma ci sono tre paesi che lo hanno voluto come cittadino onorario soltanto per la bellezza della sua voce. E ci sono centinaia di persone che, ogni volta, si fermano ad ascoltarlo, incantate da quel timbro che sembra arrivare da un’altra epoca.

L’esibizione di sabato alla Corrida di Pavone Canavese non è stata soltanto un numero da dilettante allo sbaraglio, ma l’ennesima conferma di una vita intera dedicata al canto. Tra applausi, ovazioni e qualche monetina lanciata sul palco, Giuseppe Lo Torto ha ricordato ancora una volta che la musica non appartiene solo ai grandi teatri, ma può nascere anche tra le mani di un idraulico, di un benzinaio, di un uomo che ha fatto mille mestieri e che, con la sola forza della voce, ha reso immortale il suo soprannome: l’usignolo del Canavese.

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