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Peppino d’Ivrea: la voce che ha incantato il Canavese

Una carriera fuori dai riflettori, ma con grandi riconoscimenti come la cittadinanza onoraria in tre Comuni, conferita per il bel canto, e quella foto con il governatore Alberto Cirio...

Peppino d'Ivrea, al secolo Giuseppe Lo Torto

Peppino d'Ivrea, al secolo Giuseppe Lo Torto

Giuseppe Lo Torto non ha mai avuto un agente, un impresario o una comparsata in televisione. Ma ha incantato l’Italia. Lo ha fatto con la sua voce, e basta. Una voce che gli ha fatto guadagnare tre cittadinanze onorarie — a Bollengo, Pavone Canavese e Valperga — solo per la bellezza con cui canta. Ecco perché qui in città, tutti lo chiamano tutti Peppino di Ivrea, come Peppino di Capri. Anche se lui precisa: «Io sono un tenore, mica faccio pop».

Settantadue anni e un garbo che ha il sapore di un’altra epoca, Peppino d’Ivrea canta ancora oggi. Lo farà anche lunedì 7 luglio, per San Savino: «Dalle dieci alle dodici, girerò per la città a cantare. Poi mi metterò davanti al Centro Ottico Pecora, lì c’è l’ombra, in corso Botta». Lo dice con un sorriso sornione, come se fosse la cosa più normale del mondo. Per lui lo è.

La sua voce ha attraversato l’Italia: «Ho cantato in cinquanta paesi, sempre da ospite, con le più grandi orchestre italiane. Ma non mi hanno mai assunto». Mai una scrittura, mai un contratto. Eppure nel repertorio di Peppino brillano classici senza tempo: “’O sole mio”, “Parlami d’amore Mariù”, “Non ti scordar di me”, e poi anche pezzi lirici come “Nessun dorma” o “E lucevan le stelle”. Quando li canta, la voce si apre, il petto si espande, e per un attimo il Canavese sembra diventare la Scala di Milano.

Ma Giuseppe Lo Torto non ha mai calcato palcoscenici famosi. Ha calcato officine, stazioni di servizio, giardini. «Ho fatto dieci anni in Olivetti, poi dieci anni benzinaio e lavamacchine. Poi dieci anni idraulico per la città. Ho servito ai tavoli al Mago di Caluso, fatto il giardiniere nelle ville dei signori della Fiat, in corso Vercelli». Lo racconta senza rancore, con una fierezza che commuove. «Ho fatto mille mestieri. Niente gloria, niente fama, niente ricchezza».

E la televisione? «Nessuno mi ha mai portato in Rai». Nemmeno una volta. Nonostante la voce, nonostante le onorificenze, nonostante le foto ufficiali: «A Pertusio ho cantato davanti al presidente Alberto Cirio. Abbiamo anche fatto la foto insieme». Un ricordo custodito come un trofeo, forse più prezioso proprio perché unico.

Ora Giuseppe è in pensione. Ma la musica no, quella non è andata in pensione. Continua a cantare per passione. Per strada, alle feste, alle sagre. «Canto per la gente. Canto perché è la mia vita».

Nessun tour mondiale, nessun disco in classifica, nessun video virale. Ma tre paesi che lo hanno voluto cittadino onorario solo per come canta. "Mi chiamano l'usignolo del Canavese".

E centinaia di persone che si fermano, ogni volta, incantate da quella voce che viene da lontano. Dall’anima.

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