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Torino in marcia dopo l’attacco alla Flotilla: da piazza Castello a Porta Nuova, la città alza la voce

Mille in corteo da piazza Castello dopo l'attacco con droni in acque tunisine: 'Stop agli accordi con Israele'

Torino in marcia dopo l’attacco alla Flotilla: da piazza Castello a Porta Nuova, la città alza la voce

Martedì 9 settembre, piazza Castello a Torino si è trasformata in un palcoscenico di protesta. Al calare della sera circa un migliaio di persone si sono ritrovate per un corteo che, dopo aver attraversato il centro, ha puntato verso San Salvario e la stazione di Porta Nuova. Alla testa della manifestazione, uno striscione dal messaggio inequivocabile: “Blocchiamo tutto. Stop agli accordi con Israele”.

L’innesco della mobilitazione è arrivato dalla notizia, ancora in fase di verifica, di un presunto attacco con droni contro un’imbarcazione della Flotilla diretta a Gaza, avvenuto secondo le prime ricostruzioni in acque tunisine. Tra i dettagli circolati, la possibile presenza a bordo dell’attivista Greta Thunberg, che ha dato ulteriore eco internazionale alla vicenda e alla reazione torinese.

Il corteo non si è limitato a un atto di solidarietà, ma ha assunto la valenza di segnale politico. La richiesta di interrompere gli accordi con Israele sposta la protesta dal terreno umanitario a quello diplomatico ed economico, mettendo nel mirino intese che vanno dalle forniture alle collaborazioni scientifiche. La scelta del percorso – da piazza Castello, cuore istituzionale della città, fino a Porta Nuova, nodo nevralgico della mobilità – racconta la volontà di rendere visibile la protesta e di collocarla al centro del dibattito pubblico.

Il riferimento alla Flotilla non è casuale: evoca una lunga storia di missioni civili internazionali verso Gaza, simbolo della volontà di rompere l’assedio e portare aiuti umanitari. In questo quadro, la presenza di una figura globale come Greta Thunberg, se confermata, amplificherebbe ulteriormente l’impatto mediatico, legando il corteo torinese a una rete di mobilitazioni transnazionali.

L’indicazione delle “acque tunisine” come teatro dell’attacco, se verificata, introduce elementi delicati di diritto internazionale. Un’azione militare o di sabotaggio in zone di competenza di un altro Stato solleva interrogativi immediati: chi è responsabile, con quali prove, e quali saranno le ricadute nei rapporti diplomatici con i Paesi rivieraschi? È proprio in questo crocevia che la protesta di piazza trova una sponda, intercettando le preoccupazioni legate non solo alla sicurezza delle missioni civili, ma anche alla libertà di navigazione.

Lo slogan “Stop agli accordi con Israele” condensa la spinta politica emersa ieri a Torino. Significa mettere in discussione scelte di governo, toccando partenariati economici, intese industriali e cooperazioni scientifiche. Nel caso in cui la manifestazione faccia da catalizzatore per altre piazze italiane, la pressione pubblica potrebbe trasformarsi in interrogazioni parlamentari e richieste di trasparenza su dossier finora rimasti ai margini del dibattito nazionale.

Al momento restano numerosi interrogativi: la dinamica dell’attacco in mare non ha ancora trovato conferme ufficiali; la condizione dell’imbarcazione e dell’equipaggio è oggetto di accertamenti; la presenza effettiva di Greta Thunberg a bordo non è stata verificata. Sul fronte interno, resta da capire come le istituzioni italiane risponderanno alla richiesta di interrompere gli accordi con Israele e se la protesta torinese troverà eco in altre città.

Quella di martedì sera non è stata soltanto una marcia di solidarietà: è stata la traduzione in piazza di un malessere che intreccia umanitario, politico e diplomatico. Una voce collettiva che chiede chiarezza sugli eventi in mare e una revisione delle scelte strategiche nei rapporti con Israele.

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