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08 Settembre 2025 - 21:16
ADOLFO URSO MINISTRO MIMIT, ANTONIO FILOSA AMMINISTRATORE DELEGATO DI STELLANTIS
Il settore automotive torna al centro della scena politica ed economica italiana. A Torino, nelle sale del ministero delle Imprese e del Made in Italy, si è tenuto il primo faccia a faccia tra Antonio Filosa, nuovo amministratore delegato di Stellantis nominato a giugno, il ministro Adolfo Urso e il presidente dell’Anfia Roberto Vavassori. Un incontro che segna l’avvio di una collaborazione stretta tra il governo e il gruppo automobilistico, con un obiettivo dichiarato: chiedere all’Unione Europea un cambio di rotta immediato sulle politiche della mobilità.
Il messaggio lanciato da Palazzo Piacentini è diretto. Non basta più discutere: occorre “passare dal dialogo strategico alle azioni strategiche”. Parole del ministro Urso, che non ha esitato a bollare come “follie del Green Deal” le normative comunitarie sul 100% elettrico entro il 2035. L’Italia, con Stellantis e l’associazione dei costruttori, chiede quindi a Bruxelles maggiore flessibilità, il ripristino della neutralità tecnologica e una revisione delle regolamentazioni sulle emissioni di CO2 per auto e veicoli commerciali.
ADOLFO URSO MINISTRO MIMIT, ANTONIO FILOSA AMMINISTRATORE DELEGATO DI STELLANTIS, ROBERTO VAVASSORI, PRESIDENTE DI ANFIA
Sul tavolo anche un tema cruciale per il mercato interno: la produzione di utilitarie e vetture di piccola dimensione, tradizionalmente forti nel nostro Paese ma oggi a rischio di scomparsa sotto il peso di regole che favoriscono auto più costose. Un nodo che tocca direttamente la tradizione Fiat, marchio simbolo della mobilità popolare italiana.
L’alleanza con il governo trova conferma anche nelle parole del responsabile europeo del gruppo, Jean Philippe Imparato, alla vigilia del Salone di Monaco: “Gli obiettivi europei per il 2030 e il 2035 sono irraggiungibili se non vogliamo mettere in ginocchio i produttori continentali. In Europa circolano 256 milioni di auto, 150 milioni delle quali hanno più di dieci anni. Non si può pensare di puntare solo sulle nuove Bev, serve un piano per il rinnovo del parco circolante”.
In parallelo, Stellantis sta già lavorando a una revisione del piano industriale. Il progetto Dare Forward verrà aggiornato e presentato a inizio 2026, con una certezza già confermata: l’elettrificazione al 100% nel 2030 non è più un obiettivo realistico. Imparato parla di un percorso che resti fedele in parte al piano ereditato da Tavares, ma che tenga conto della domanda di mercato e della necessità di introdurre nuove soluzioni. “Con il Ceo Filosa – spiega – abbiamo iniziato a discuterne. Sarà lui a delineare la visione di Stellantis per i prossimi cinque o dieci anni”.
Se a livello istituzionale l’intesa appare solida, nelle fabbriche la situazione è ben diversa. I sindacati parlano di una crisi senza precedenti. Secondo il segretario generale della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, “il 2025 sta segnando un peggioramento significativo dei volumi produttivi. La cassa integrazione interessa la totalità degli stabilimenti e coinvolge mediamente il 50% dei lavoratori”. Una condizione che, secondo il sindacato, richiede un confronto immediato con il nuovo amministratore delegato.
Il caso più critico è quello dello stabilimento di Termoli. Qui lo stop alla Gigafactory, il maxi investimento sulle batterie elettriche inizialmente annunciato, ha aperto una voragine di incertezza. Uliano lo definisce un punto che “richiede un nuovo impegno da parte di Stellantis per garantire prospettive e nuove attività alla fabbrica di motori molisana”.
Dello stesso avviso è il segretario regionale Fim-Cisl Molise, Marco Laviano, che rilancia l’ibrido come possibile via d’uscita: “Puntare forte sull’ibrido potrebbe essere un’occasione di ripartenza, ma Stellantis deve rafforzare la produzione di motori termici a Termoli e rispettare gli impegni sull’occupazione. Non bastano incentivi o promesse: la fabbrica deve tornare a produrre”.
La Fiom-Cgil, invece, sceglie toni ancora più duri. Il segretario nazionale Samuele Lodi denuncia come “mentre Stellantis e governo si incontrano e scaricano le responsabilità sull’Europa, la situazione negli stabilimenti precipita. Aumenta la cassa integrazione, continuano le uscite incentivate e ora alcuni lavoratori vengono spostati volontariamente in Serbia. Anche la componentistica paga un prezzo altissimo”. Per Lodi, la strada non è fatta di annunci ma di un piano industriale concreto, da discutere subito a Palazzo Chigi.
Il quadro, quindi, è duplice: da una parte il pressing del governo e dei vertici Stellantis sulle istituzioni europee, dall’altra l’urgenza delle fabbriche italiane, dove migliaia di lavoratori vivono in regime di ammortizzatori sociali e guardano con preoccupazione al futuro.
Nei prossimi mesi, la partita si giocherà su due fronti: quello politico, con la richiesta a Bruxelles di un cambio di passo, e quello industriale, con l’attesa del nuovo piano Stellantis. Per Filosa sarà un banco di prova decisivo: dovrà dimostrare di saper bilanciare le pressioni internazionali con le esigenze concrete dei lavoratori e degli stabilimenti italiani, che oggi chiedono risposte immediate più che promesse di lungo periodo.
C’è un’Italia che applaude nei salotti ministeriali e un’altra che ingoia amara nelle linee produttive ferme. L’incontro tra il ministro Adolfo Urso e il nuovo amministratore delegato di Stellantis, Antonio Filosa, viene presentato come una svolta, un fronte comune contro Bruxelles e le sue regole troppo rigide. Ma se guardiamo oltre i comunicati, la realtà è più cupa: stabilimenti dimezzati, cassa integrazione di massa, investimenti che svaniscono e migliaia di lavoratori appesi a promesse che si ripetono da anni.
Urso tuona contro le “follie del Green Deal”, Filosa annuncia un piano industriale da rivedere, l’Europa diventa il capro espiatorio perfetto. Eppure, basterebbe fare un giro tra Mirafiori o Termoli per capire che il problema non sta solo a Bruxelles. Qui i lavoratori vedono sparire interi reparti, con una cassa integrazione che ormai non è più l’eccezione, ma la regola. Il caso della Gigafactory di Termoli è emblematico: prima promessa come simbolo della transizione, ora archiviata senza troppi complimenti.
E allora viene da chiedersi: cosa resta della grande industria automobilistica italiana? Stellantis guarda alle strategie globali, Urso alle schermaglie politiche, ma intanto il sistema produttivo nazionale perde pezzi, competenze e fiducia. I sindacati parlano di crisi senza precedenti, e non per ideologia, ma perché i numeri sono impietosi: metà dei dipendenti in cassa integrazione, nuovi modelli che non arrivano, delocalizzazioni che continuano.
La verità è che si sta giocando una partita doppia: da un lato la retorica della “neutralità tecnologica”, dall’altro la sopravvivenza quotidiana di chi lavora nelle fabbriche. Finora a prevalere è stata la prima. Il rischio è che quando finalmente arriveranno le famose “azioni strategiche”, gli stabilimenti italiani siano già diventati dei gusci vuoti.
Insomma, Urso e Filosa parlano di futuro, ma intanto il presente degli operai Stellantis è fatto di turni saltati, buste paga alleggerite e incertezze crescenti. Non basta prendersela con Bruxelles per salvarsi la coscienza: serve un piano concreto per l’Italia, e serve subito.
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